martedì 29 dicembre 2009

questi giorni

Ecco in questi giorni così stelleggianti e lucidi di nastri colorati, sfrigolanti di carta da regali, profumati di bagnischiuma e panettoni e odoranti di carta di libri, creme per il corpo voluttuose e sfavillanti di musichette jingle bells, in questi giorni, ma solo in questi, sono un po' dispiaciuta di non avere un figlio. Mi passa presto, son contenta della mia scelta e non mi sono mai pentita, ma da qualche anno mi succede questa cosa che vedo le mamme e i papà e un pochino, e solo in questi giorni, io, ecco, lo dico, un pochino li invidio.

giovedì 24 dicembre 2009

Parigi val bene Karin

Ignoro il motivo per cui mi trovo qui, in questo rottame di macchina, alle tre di notte. La verità è che non volevo stare da sola, e avrei detto sì a qualunque proposta.
Ma adesso inizio a pensare di avere fatto una cazzata.
Siamo alle porte di Parigi, vicino all’aeroporto. Siamo partite alle sette da Torino, abbiamo sbagliato strada più e più volte, ci siamo fermate a mangiare qualcosa e ora siamo alla ricerca di un albergo.
Non un albergo qualsiasi, no. Quello in cui si trova l’amante di Karin.
E questo è il motivo per cui Karin ci ha chiesto di accompagnarla a Parigi. Ma è il motivo di Karin.
E il mio?
La macchina puzza di umido e di fumo delle mille sigarette che abbiamo consumato, ma abbiamo trovato un rimedio. Silvia ha acceso 2 incensi e li ha ficcati nelle griglie dell’aria ed ora viaggiamo nella nebbia, dentro e fuori. Quella dentro però profuma di ambra. Silvia non parte mai senza il kit dell’invasata : tarocchi, incensi, candele e olii per il reiki. Lei va a Parigi perche ha scoperto che Jodorowsky ogni tanto si fa vedere in un caffè vicino alla gare de Lyon. Non si sa quando, non si sa se regolarmente, ma lei ha deciso di cercarlo per farsi dare un rito psicomagico.
Questo è il motivo di Silvia.
Continuo a non capire perché mi trovo qui.
Sono appena stata lasciata dall’uomo che amavo, e mi trascino come uno zombie, senza nemmeno la forza di uscire per comprarmi da mangiare, ho più di quarant’anni, sono disperata. Quindi perché, perché sono in questa macchina, assordata dalla voce di Karin che racconta di tutti i suoi amanti e corteggiatori, verso una meta che non riusciamo a trovare ?
E invece la troviamo, alle cinque del mattino. Il fantasmatico amante esiste, viene a prenderci alla reception, ci fa passare dal retro dell’hotel e finalmente arriviamo in una stanza gia occupata da almeno 4 persone, di cui due stanno trombando. Ci sistemiamo alla bell’e meglio in un letto tutte e tre più l’amante focoso, ma io e Silvia ci addormentiamo di botto, perdendoci il bello dell’incontro.
Almeno passiamo la notte al caldo, e gratis.
E’ sabato mattina.
Ripartiremo domenica sera.
1700 Km in due giorni.
Ecco il motivo per cui mi trovo qui. Avevo bisogno di un week-end di relax.

venerdì 18 dicembre 2009

stream of unconsciousness

Sono una donna silenziosa.

Se sono in mezzo a un gruppo di persone, la mia voce non si sente spesso. Preferisco parlare quando siamo in pochi, quando qualcuno ha davvero voglia di ascoltare. A volte me ne sto lì a sentire cosa dicono gli altri, c’è gente che ha sempre qualcosa da raccontare, un aneddoto, un’opinione da trasmettere. A me sembra invece di non avere niente di importante da dire. Mi chiedono come sono andate le vacanze, rispondo Bene, mi sono divertita. E magari ho fatto uno dei miei viaggi in giro per il mondo, in posti che probabilmente quelli che parlano tanto non vedranno mai, ma loro riescono a raccontare con dovizia di particolari anche un esame del sangue, amano il suono della loro voce, si dilungano in particolari, si guardano intorno e vedono un mucchio di gente che conoscono. Io a volte se vedo per strada qualcuno che conosco scantono, perchè non saprei cosa rispondere alla domanda Che hai fatto di bello ultimamente ? E non perchè non faccia niente di bello, intendiamoci. Ma perchè detesto le domande e le chiacchiere formali, le parole flusso di incoscienza. Perchè credo profondamente nella parola pensata. Perchè non ho questo incessante bisogno di comunicare a qualunque costo.

E poi come dicono loro, Silence is sexy

lunedì 14 dicembre 2009

PsychoKiller

Era la quarta volta che ci provavo.
Senza il minimo risultato.
Un’ora alla settimana, per tre anni, fa circa un migliaio di ore. Arrivavo, mi raggomitolavo sulla sedia di plasticaccia verde, mi abbracciavo le ginocchia con le braccia e ficcavo il mento tra le ginocchia.
Un fachiro.
All’inizio credevo fosse colpa mia, che non ero riuscita a stabilire un canale di comunicazione preferenziale. Allora mi preparavo prima, per tutto il giorno rimuginavo, cercavo di pensare a qualche cosa di importante che mi fosse successo in settimana, un sogno, un incontro, una sbotto d’ira.
Ma io non mi arrabbio mai, sogno poco, e non mi succede mai niente di entusiasmante.
Così me li inventavo, i sogni. Mi ero comprata l’introduzione alla psicanalisi e prendevo spunto da lì. Arricchendo con qualche aggiunta e sostituendo le tecnologie. Niente carrozze ma automobili, niente macchine per scrivere ma computer. A volte rubavo i sogni di qualcuno che mi aveva raccontato i suoi.
Non se ne accorgeva. Mai.
Spesso trovavo delle scuse. Mi si è fermata la macchina in aperta campagna, sono fuori per lavoro, ho un’emorragia cerebrale.
Ne saltavo una, ma me la faceva recuperare. Accidenti a lei.
Altre volte le dicevo Guardi io non so proprio cosa dire oggi.
Silenzio.
Avete presente il peso di dieci minuti di silenzio di fronte a un’analista che ti guarda e non dice nulla ? Un buco nero pesa di meno.
Ma non riuscivo ad andarmene.
Ci avevo provato quattro volte.
Le avevo detto che non eravamo in sintonia, che non credevo di avere fatto alcun progresso, che non mi piaceva il suo metodo, se poi c’era un metodo. Le avevo rifilato la mia teoria di essere a corto di qualche sostanza essenziale che gli esseri umani secernono negli anfratti del loro corpo e che io non ero capace di produrre. Che pertanto avrei aumentato la dose di psicofarmaci.
Niente da fare. Mi guardava, con quella faccia rotonda che cominciavo a odiare, da dietro quegli occhialini viola ematoma. E stava zitta.
Le avevo urlato che io non ero li per parlare davanti a uno specchio, che mi dicesse almeno cosa pensava di me.
Lei cosa pensa che io pensi di lei ?
Tutto quello che ero riuscita ad ottenere.
Così avevo preso una decisione.
A mali estremi, estremi rimedi.
La soluzione piu semplice sarebbe stata non farmi piu vedere. Sparire. Autoinglobarmi nel nulla, cambiare numero di cellulare e vaffanculo. Non mi avrebbe mai piu trovata.
Ma non ero capace.
Perche lei mi diceva che stavamo facendo progressi, che io avevo fatto un percorso (dio come la odio questa parola), che avevo ancora bisogno di lei.
Intanto io sprofondavo nell’apatia, nell’isolamento, nel distacco, nell’anaffettività.
A parte l’odio.
Verso di lei.
All’inizio era stato come fastidio. Poi era diventato un ringhio, un sibilo, una bavetta alla bocca.
Poi era diventata vertigine.
Così ieri ci sono andata per l’ultima volta.
Mi ha aperto, mi ha sorriso e mi ha detto Si accomodi.
Sapevo che non avrebbe detto quasi niente altro. Per un’ora.
Ma io ci avrei messo di meno.
Molto meno.
Sono rimasta in piedi, mentre lei si sedeva. Ho guardato per l’ultima volta la sedia di plasticaccia verde, la scrivania di formica, la vetrinetta chiusa col lucchetto piena di pillole per la felicità artificiale.
Mi sono avvicinata a lei, le ho sorriso anche io, e ho tirato fuori dalla borsa il martello.
Quello con la testa di ghisa. Pesantissimo.
Il cranio fa uno strano rumore quando si spacca. Prima è come uno schiocco vibrante, ma poi si affloscia.
Un rumore che vale la pena di sentire una volta, nella vita.
Io l’ho sentito quattro volte. Come le volte in cui ho tentato di liberarmi da lei.
Scivolando lentamente sulla sua sedia, gli occhiali lividi spaccati, lo sguardo vitreo e vuoto, non ha emesso nemmeno un gemito.
Sempre zitta. Ancora zitta.

Non aveva capito proprio niente, di me.

Cinematic



Scendo un momento a fumare una sigaretta.
Nel cortile del mio ufficio c’è un pino, altissimo.
Sopra ci sono un sacco di corvi gracchianti che svolazzano e si rincorrono. Ogni tanto si fermano su un ramo, il ramo ondeggia un attimo , si incurva sotto il loro peso, poi loro si staccano e scendono in picchiata.
Immagino attacchi, occhi feriti e sanguinanti, urla umane che si mischiano ai loro versi sbeffeggianti e aggressivi.
Immagino un cielo nero e svolazzante.
Il vecchio Alfred è vivo, e lotta insieme a noi.

domenica 13 dicembre 2009

ma gli androidi sognano pecore elettriche ?



quando sei in macchina e guidi per le strade scompigliate dalla neve e il tettuccio della macchina è coperto di neve che mescolata alla pioggia si sta sciogliendo e cade sul vetro della macchina e tu mentre guidi hai queste piccole scie di acqua che ti cadono davanti agli occhi e formano rivoletti a volte drittissimi a volte stranamente ramificati e pensi che sembrano lacrime

(ok, non resisto)

nella pioggia.

L'idiota

L’idiota dice con aria sprezzante che è una dura senz’anima
ma con una sola parola le si può spezzare facilmente il cuore

L’idiota ti guarda da sopra gli occhiali da miope con quel suo atteggiamento da snob e ti dice che lei può fare a meno
Sì, come no.

L’idiota spara cazzate su quanto le donne siano fastidiose con i loro bisogni da donnette
Ma poi si ritrova ad essere più penosa di loro. Per fortuna in silenzio.

L’idiota è cinica, ironica, ti perfora con lo sguardo
Ma lei è perforata da mille ulcere.

L’idiota se ne sbatte, lei ha altro di meglio da fare.
Tipo starsene sdraiata a letto a guardare il soffitto.

L’idiota è corazzata più della Potemkin
Talmente corazzata che affonda sotto il suo peso.

L’idiota se ne torna dov’era.
E’ stato un piacere.