giovedì 23 giugno 2011

Pinocchio



Oggi mia mamma mi ha regalato questo Pinocchio.
E' un regalo apparentemente non adatto a una donna di cinquant'anni che ha smesso di credere alla favole da un bel po', che è razionale e logica, con i piedi piantati per terra.
Non sono stata sempre così, una volta ero tutta poesia e citazioni di canzoni e occhi spalancati ed emozioni che ti schiantano. Poi, si sa, la vita. Son diventata più fredda, più cinica e disillusa, non mi commuovono più i film e difficilmente mi lascio andare a fantasie e sogni ad occhi aperti. Credevo a tutto, e ora non credo quasi più a niente. Son diventata un po' come questo Pinocchio qua, rigido, legnoso, talvolta con un'espressione sorridente e un cappello rosso, talvolta seduta come un manichino in mezzo alla mia vita.
Ma non è per questo che mia mamma mi ha regalato il Pinocchio.
L'ha comprato a una fiera di paese, era in giro con degli amici che l'hanno un po' guardata strano quando ha detto che il Pinocchio era per me che insomma proprio una bambina non sono più.
Ma io e lei sappiamo.
C'era anche un altro che avrebbe saputo, ma se ne è andato tanti anni fa, poco tempo dopo avermi regalato un Pinocchio come questo. Mi era venuta la scarlattina, avevo la febbre alta e lui una sera, tornando dal lavoro, mi porta questo pacchettino con il Pinocchio di legno, uguale identico a questo qua, solo più grande (o forse ero io che ero più piccola). Era bellissimo, adoravo quella sua giacchetta rossa, profumava di legno e di papà.
Non so dove sia andato a finire, son passati anni, traslochi, vite. Probabilmente ha viaggiato molto, magari gli sono mancata. Lui a me è mancato, tanto. Ma adesso è ritornato da me e se ne sta seduto sulla mia scrivania a guardarmi con i suoi occhioni fissi e un sorrisetto ironico. Mi dice che i ricordi tornano sempre, a volte fanno un po' male ma bisogna trovare loro un posto.
Io adesso a lui un posto l'ho trovato.

sabato 11 giugno 2011

Il suo bar

Il sabato mattina era dedicato alle pulizie di casa, quindi mia mamma non voleva fastidi intorno. Allora ci cacciava via, me e mio papà, che lei doveva aprire le finestre e far prendere aria e passare lo straccio per terra e sul pavimento bagnato non ci si doveva camminare.
Così mio papà mi prendeva per mano e si partiva per i giardinetti; lui si comprava il giornale, si fumava qualche sigaretta e io aspettavo il mio turno sull’altalena. Poi, dopo un’oretta, mi riprendeva per mano e si andava al bar.
Era un baretto piccolo, non lo ricordo bene (avevo solo quattro anni) il bancone era di fronte, entrando, e il signore del bar ci salutava gentilmente e mi faceva una carezza. A me piaceva stare lì dentro perché c’erano un sacco di cose da scoprire : bottiglie colorate, il distributore delle caramelle con quella grande manopola da girare dopo avere infilato dieci lire, un odore che era un misto di fumo, di vino, e di caffè. Lui mi faceva sedere sulle sue ginocchia e io mi sentivo al sicuro.
Poi si faceva dare due schedine del Totocalcio, una la compilava da solo e l’altra la compilava facendo scegliere a me, e a me piaceva inventare ogni volta delle cantilene nuove, uno ics due, due due ics, lui a volte sorrideva, a volte diceva Noo, questo no! Ma poi metteva quello che dicevo io.
Ma il momento più bello era quando lui ordinava da bere: un Punt e Mes per lui e uno per me. E quando il barista arrivava col vassoio e ci lasciava sul tavolo quei due bicchieri pieni di quel liquido rosso e trasparente, con una ciotola di patatine, io mi sentivo grande e importante perché bevevo la stessa cosa che beveva il mio papà, e quando tornavamo a casa mia mamma mi chiedeva Allora l’hai bevuto anche stavolta il Punt e Mes? E io ero felice di poter rispondere sempre sì.
L’anno dopo, avevo cinque anni, mio padre morì in atroce incidente sul lavoro. La nostra vita cambiò, cambiarono le abitudini, e in quel piccolo bar non ci tornai mai più. Solo anni dopo mia madre mi disse che il mio Punt e Mes era sciroppo di amarene con l’acqua, e che mio padre si era messo d’accordo con il barista per fargli annacquare lo sciroppo in modo che avesse lo stesso colore del suo aperitivo.
Ma a me non è mai sembrata una brutta cosa, questa.

(un grazie a Stimulable per avermi ricordato questo bar e per avermi pubblicata)