mercoledì 31 agosto 2011

l'inverno del nostro scontento

Io sono una privilegiata. Ho visto l’alba su un vulcano a Giava, con le nuvole che lo circondavano e sembravano un mare di panna. Ho visto una balena a Frazer Island in Australia, dall’alto, su un piccolo Cessna a sei posti, la balena era gigantesca e solitaria e mi sono venute le lacrime agli occhi. Ho messo i piedi nel Gange a Varanasi e ballato con i pellegrini shivaiti che arrivavano a piedi da tutta l’India. Ho passeggiato per la 5 Avenue e cenato in piccoli locali del Village. Mi sono bagnata nelle acque del Giordano e ho visto il tramonto nel deserto del Wadi Rum.

Ma quest’anno non sono andata in vacanza perché, per motivi che è inutile e per me anche molto triste spiegare, non me lo potevo permettere.
Così sono qua che rimugino, di pessimo umore. Mi dico che l’inverno sarà più duro degli altri, che senza un po’ di mare mi prenderò un sacco di malanni, che non ho “staccato la spina” nemmeno un po’ perché non lavorare e starsene a casa senza poter fare nulla non è veramente una vacanza, e insomma sono infastidita, angosciata e rabbiosa.

E me ne vergogno. Perché c’è gente che in vacanza non ci va mai, oppure è sempre in vacanza perché non ha un lavoro. C’è gente che il lavoro lo perderà presto e i loro bambini il mare lo vedranno alla televisione. C’è gente che sta male, precariamente attaccata alla vita grazie a tubi e monitor. E io, che sono una privilegiata, son tutta un lamento e un mugugno perché per una volta ho dovuto rinunciare a un piacere, a un lusso, a qualcosa di cui la maggior parte delle persone non potrà godere mai, in tutta la sua vita.
Ma questo pensiero non basta a consolarmi. Per quanto nel mio piccolo mi dedichi agli altri, cerchi di aiutare, sia molto attiva nel volontariato, passi molto del mio tempo libero in queste attività, sono e rimango una figlia del mio tempo, individualista, consumista, attenta prima di tutto ai miei bisogni, ai miei piaceri.
Così oltre al mugugno e al pessimo umore per le vacanze mancate, sto male perché mi sento un mostro di egoismo; così alterno la vergogna alla tristezza, il fastidio al disprezzo di me stessa.
Sarà un duro inverno in cui, quanto a pensieri negativi, non ci faremo mancare niente.

giovedì 25 agosto 2011

Guernica total


I funerali Toraja in Sulawesi (Indonesia) durano circa una settimana, e prevedono scontri di bufali, feste, preghiere, infine un rituale sanguinolento in cui un parente del defunto si accomoda al centro di un cerchio composto da dodici bufali e armato di coltellaccio li sgozza uno dietro l'altro girando su se stesso. I poveri animali cadono a terra agonizzanti, il sangue esce a fiotti e in un attimo il terreno è completamente rosso. Io ero ammutolita dall'orrore, mentre la mia amica spagnola, insieme alla quale ho assistito a questa cerimonia apocalittica, mi ha guardato, pallida e spaventata, e ha commentato : "Guernica total".

Io trovo che mai commento fu più azzeccato.

martedì 16 agosto 2011

Mai più

Non è un respiro, è un singhiozzo quello che la scuote mentre con gli occhi chiusi e il volto gonfio sta cercando di rimanere attaccata alla sua vita che, incurante e frettolosa, si allontana.
Un singhiozzo da neonato, ogni boccata è ossigeno che brucia in gola e ustiona il palato ma che stupisce per la sua fluida e dolorosa naturalezza.
Un neonato arriva, lei se ne sta andando. E' attaccata a strumenti digitali, incomprensibili numeri blu occhieggiano dai monitor. La mistica spaventevole e rassicurante insieme della tecnologia che monitorizza meccanicamente la vita, che continuamente codifica e decodifica il battito cardiaco, il respiro irregolare, le funzioni vitali. Un'equazione improbabile, come si fa a tradurre il defluire dell'esistenza con funzioni matematiche, con impulsi elettronici, con sensori totalmente insensibili al dramma che si sta vivendo intorno a questo letto.

Suo figlio è diventato suo padre e sua madre. Le passa delicatamente la crema sul viso e sul collo, le inumidisce la fronte con una pezza bagnata, le accarezza la mano esanime, le sussurra all'orecchio vecchi ricordi, nomignoli infantili, rassicurazioni. E' stanco e triste, questa è la sua ultima occasione, lo teme e lo spera. Questione di ore, hanno detto. La guarda con dolcezza e infinita compassione; si sente fortunato perché gli è stato regalato qualche giorno prima che lei scivolasse in questa pietosa incoscienza farmacologica, ed è stato atroce e bellissimo insieme. Quando è arrivato in ospedale, affannato e invaso dalla fretta di vederla lei gli ha fatto una smorfia, gli angoli della bocca ripiegati all'ingiù, hai fumato eh?, e poi ha cercato goffamente un abbraccio.

Mentre mi accompagna fuori dall'ospedale - sospetto che sia geloso di ogni piccolo istante rubato a loro due, da soli - parliamo del mai più, questo maledetto mai più che non riusciamo a capire e ci danniamo l'anima perché è così misterioso e minaccioso e violento e inderogabile, e sotto il cielo serale di un ferragosto deserto ci sentiamo così umani

lunedì 1 agosto 2011

Ocleria e la tecnologia

Ieri sera ero su Skype con una mia amica e a un certo punto è entrata in casa Ocleria, la mia vicina.
Sì, tengo la porta aperta. Abito in una vecchia casa di ringhiera, il balcone unisce tre case e altrettante (anzi qualcuna in più) vite, e d'estate ci si passa un gelato, due pomodori appena comprati al mercato, si va a bere il caffè di qua o di là, si chiacchiera del caldo o del maltempo.
Così, dicevo, ieri sera Ocleria entra in casa e mi sente parlare nell'altra stanza, e temendo che sia impazzita completamente perché mi sente parlare da sola viene in camera mia per accertarsi che tutto vada bene.
E scopre - oh! meraviglia! - che dal computer puoi non solo parlare, ma anche vedere la persona con cui parli.
E' un'emozione che non riesce a reggere, deve sedersi un attimo, ha il fiato corto, continua a dire Ma che bellezza! ma che meraviglia! Ma è incredibile! e quasi non ci crede, e quasi ne ha paura. Le dico di avvicinarsi e le metto a disposizione la mia sedia, siediti qua, che stai più comoda, poi mi allontano dalla webcam ed ecco che appare lei, il grembiule a fiorellini, gli occhiali di cui non ha mai cambiato la montatura dal 1970 circa, e ride a vedersi nel riquadro piccolino, guarda, è arrivata la befana - dice - ride a più non posso, parla con la mia amica (che non conosce), le augura buone vacanze e piacere, tanto tanto piacere di averla conosciuta, signora, e mi saluti suo marito, ah ma si vede anche suo marito, ma è bellissima questa cosa, e non la finisce più di salutare e di guardarsi e di sorridere.
E io penso che è una cosa fantastica sorprendersi ancora, a settantasei anni, e mi sento come se le avessi fatto un bel regalo.