E’ bello la sera, al tramonto, quando il caldo è meno feroce e i venditori sono stanchi di
assilarti con le loro assurde proposte commerciali, sedersi
sulle rive del Gange a
godersi il fresco. L’acqua è marrone, fetida e schiumosa, nasconde segreti e corpi, o pezzi di corpi. Ma
l’impressione che se ne deriva è, stranamente, di una quiete serena,
come se dopo tutto il gran daffare del giorno, inghiottire liquame,
portare verso sud resti di cadaveri, soffocare per la mancanza di
ossigeno, questo strano, misterioso fiume si concedesse finalmente un po’ di riposo. La luce calante nasconde gli orrori, la
sporcizia, il vento porta via gli insopportabili odori di immondizia e
putrefazione. Scende sull’acqua
una calma irreale e sconcertante, che potresti scambiare per pace dell’anima.
Son qui seduta sui gradini dell’Assi Ghat. Vicino a me due capre, sdraiate pigramente
una sull’altra, masticano rifiuti. Sono qui con Avinash, che mi parla di
filosofia e arte indiana, di Ramakhrishna
e dei Moghul. Avinash ha due lauree e sta facendo un master in Storia
dell’arte alla Benares Hindu University. E’ appassionato di arte indiana ma
conosce benissimo anche l’arte occidentale, e i nomi dei nostri grandi pittori
– Michelangelo, Raffaello –
pronunciati con l’accento Hindi, mi suonano allo stesso tempo familiari ed
estranei.
Avinash è un intellettuale. Avinash è un guidatore di
tuk-tuk, che passa la giornata a scarrozzare passeggeri indiani e stranieri
(meglio stranieri, dice ridendo, che ti pagano sempre un pochino di più) per le
polverose viuzze di Varanasi per qualche rupia. Poi la sera se ne va sul Gange
a chiacchierare con i colleghi o con qualche straniero che non sia sospettoso e
diffidente o che abbia ancora voglia di parlare, dopo una giornata passata in questa
città che, credeteci, è un’esperienza devastante.
Gli chiedo perché uno con due lauree e un quasi master
sceglie di fare il guidatore di tuk-tuk per una miseria. Ma questa semplice
domanda nasconde uno scontro di cultura che sempre viene fuori in queste occasioni: perché sprecare
tutto questo sapere, perché non metterlo a profitto, perché non trasformare in
benessere, in miglioramento materiale, una risorsa che è già lì, disponibile.
Perché mi piace
la vita tranquilla, senza stress, dice Avinash. Qui non ho padroni, lavoro quando
voglio, e posso passare il resto del mio tempo a guardare il fiume che mi
scorre qui davanti. E qui dentro,
mi dice, toccandosi il petto.
E nemmeno più mi ricordo perché gli ho fatto questa stupida
domanda.