martedì 29 dicembre 2009

questi giorni

Ecco in questi giorni così stelleggianti e lucidi di nastri colorati, sfrigolanti di carta da regali, profumati di bagnischiuma e panettoni e odoranti di carta di libri, creme per il corpo voluttuose e sfavillanti di musichette jingle bells, in questi giorni, ma solo in questi, sono un po' dispiaciuta di non avere un figlio. Mi passa presto, son contenta della mia scelta e non mi sono mai pentita, ma da qualche anno mi succede questa cosa che vedo le mamme e i papà e un pochino, e solo in questi giorni, io, ecco, lo dico, un pochino li invidio.

giovedì 24 dicembre 2009

Parigi val bene Karin

Ignoro il motivo per cui mi trovo qui, in questo rottame di macchina, alle tre di notte. La verità è che non volevo stare da sola, e avrei detto sì a qualunque proposta.
Ma adesso inizio a pensare di avere fatto una cazzata.
Siamo alle porte di Parigi, vicino all’aeroporto. Siamo partite alle sette da Torino, abbiamo sbagliato strada più e più volte, ci siamo fermate a mangiare qualcosa e ora siamo alla ricerca di un albergo.
Non un albergo qualsiasi, no. Quello in cui si trova l’amante di Karin.
E questo è il motivo per cui Karin ci ha chiesto di accompagnarla a Parigi. Ma è il motivo di Karin.
E il mio?
La macchina puzza di umido e di fumo delle mille sigarette che abbiamo consumato, ma abbiamo trovato un rimedio. Silvia ha acceso 2 incensi e li ha ficcati nelle griglie dell’aria ed ora viaggiamo nella nebbia, dentro e fuori. Quella dentro però profuma di ambra. Silvia non parte mai senza il kit dell’invasata : tarocchi, incensi, candele e olii per il reiki. Lei va a Parigi perche ha scoperto che Jodorowsky ogni tanto si fa vedere in un caffè vicino alla gare de Lyon. Non si sa quando, non si sa se regolarmente, ma lei ha deciso di cercarlo per farsi dare un rito psicomagico.
Questo è il motivo di Silvia.
Continuo a non capire perché mi trovo qui.
Sono appena stata lasciata dall’uomo che amavo, e mi trascino come uno zombie, senza nemmeno la forza di uscire per comprarmi da mangiare, ho più di quarant’anni, sono disperata. Quindi perché, perché sono in questa macchina, assordata dalla voce di Karin che racconta di tutti i suoi amanti e corteggiatori, verso una meta che non riusciamo a trovare ?
E invece la troviamo, alle cinque del mattino. Il fantasmatico amante esiste, viene a prenderci alla reception, ci fa passare dal retro dell’hotel e finalmente arriviamo in una stanza gia occupata da almeno 4 persone, di cui due stanno trombando. Ci sistemiamo alla bell’e meglio in un letto tutte e tre più l’amante focoso, ma io e Silvia ci addormentiamo di botto, perdendoci il bello dell’incontro.
Almeno passiamo la notte al caldo, e gratis.
E’ sabato mattina.
Ripartiremo domenica sera.
1700 Km in due giorni.
Ecco il motivo per cui mi trovo qui. Avevo bisogno di un week-end di relax.

venerdì 18 dicembre 2009

stream of unconsciousness

Sono una donna silenziosa.

Se sono in mezzo a un gruppo di persone, la mia voce non si sente spesso. Preferisco parlare quando siamo in pochi, quando qualcuno ha davvero voglia di ascoltare. A volte me ne sto lì a sentire cosa dicono gli altri, c’è gente che ha sempre qualcosa da raccontare, un aneddoto, un’opinione da trasmettere. A me sembra invece di non avere niente di importante da dire. Mi chiedono come sono andate le vacanze, rispondo Bene, mi sono divertita. E magari ho fatto uno dei miei viaggi in giro per il mondo, in posti che probabilmente quelli che parlano tanto non vedranno mai, ma loro riescono a raccontare con dovizia di particolari anche un esame del sangue, amano il suono della loro voce, si dilungano in particolari, si guardano intorno e vedono un mucchio di gente che conoscono. Io a volte se vedo per strada qualcuno che conosco scantono, perchè non saprei cosa rispondere alla domanda Che hai fatto di bello ultimamente ? E non perchè non faccia niente di bello, intendiamoci. Ma perchè detesto le domande e le chiacchiere formali, le parole flusso di incoscienza. Perchè credo profondamente nella parola pensata. Perchè non ho questo incessante bisogno di comunicare a qualunque costo.

E poi come dicono loro, Silence is sexy

lunedì 14 dicembre 2009

PsychoKiller

Era la quarta volta che ci provavo.
Senza il minimo risultato.
Un’ora alla settimana, per tre anni, fa circa un migliaio di ore. Arrivavo, mi raggomitolavo sulla sedia di plasticaccia verde, mi abbracciavo le ginocchia con le braccia e ficcavo il mento tra le ginocchia.
Un fachiro.
All’inizio credevo fosse colpa mia, che non ero riuscita a stabilire un canale di comunicazione preferenziale. Allora mi preparavo prima, per tutto il giorno rimuginavo, cercavo di pensare a qualche cosa di importante che mi fosse successo in settimana, un sogno, un incontro, una sbotto d’ira.
Ma io non mi arrabbio mai, sogno poco, e non mi succede mai niente di entusiasmante.
Così me li inventavo, i sogni. Mi ero comprata l’introduzione alla psicanalisi e prendevo spunto da lì. Arricchendo con qualche aggiunta e sostituendo le tecnologie. Niente carrozze ma automobili, niente macchine per scrivere ma computer. A volte rubavo i sogni di qualcuno che mi aveva raccontato i suoi.
Non se ne accorgeva. Mai.
Spesso trovavo delle scuse. Mi si è fermata la macchina in aperta campagna, sono fuori per lavoro, ho un’emorragia cerebrale.
Ne saltavo una, ma me la faceva recuperare. Accidenti a lei.
Altre volte le dicevo Guardi io non so proprio cosa dire oggi.
Silenzio.
Avete presente il peso di dieci minuti di silenzio di fronte a un’analista che ti guarda e non dice nulla ? Un buco nero pesa di meno.
Ma non riuscivo ad andarmene.
Ci avevo provato quattro volte.
Le avevo detto che non eravamo in sintonia, che non credevo di avere fatto alcun progresso, che non mi piaceva il suo metodo, se poi c’era un metodo. Le avevo rifilato la mia teoria di essere a corto di qualche sostanza essenziale che gli esseri umani secernono negli anfratti del loro corpo e che io non ero capace di produrre. Che pertanto avrei aumentato la dose di psicofarmaci.
Niente da fare. Mi guardava, con quella faccia rotonda che cominciavo a odiare, da dietro quegli occhialini viola ematoma. E stava zitta.
Le avevo urlato che io non ero li per parlare davanti a uno specchio, che mi dicesse almeno cosa pensava di me.
Lei cosa pensa che io pensi di lei ?
Tutto quello che ero riuscita ad ottenere.
Così avevo preso una decisione.
A mali estremi, estremi rimedi.
La soluzione piu semplice sarebbe stata non farmi piu vedere. Sparire. Autoinglobarmi nel nulla, cambiare numero di cellulare e vaffanculo. Non mi avrebbe mai piu trovata.
Ma non ero capace.
Perche lei mi diceva che stavamo facendo progressi, che io avevo fatto un percorso (dio come la odio questa parola), che avevo ancora bisogno di lei.
Intanto io sprofondavo nell’apatia, nell’isolamento, nel distacco, nell’anaffettività.
A parte l’odio.
Verso di lei.
All’inizio era stato come fastidio. Poi era diventato un ringhio, un sibilo, una bavetta alla bocca.
Poi era diventata vertigine.
Così ieri ci sono andata per l’ultima volta.
Mi ha aperto, mi ha sorriso e mi ha detto Si accomodi.
Sapevo che non avrebbe detto quasi niente altro. Per un’ora.
Ma io ci avrei messo di meno.
Molto meno.
Sono rimasta in piedi, mentre lei si sedeva. Ho guardato per l’ultima volta la sedia di plasticaccia verde, la scrivania di formica, la vetrinetta chiusa col lucchetto piena di pillole per la felicità artificiale.
Mi sono avvicinata a lei, le ho sorriso anche io, e ho tirato fuori dalla borsa il martello.
Quello con la testa di ghisa. Pesantissimo.
Il cranio fa uno strano rumore quando si spacca. Prima è come uno schiocco vibrante, ma poi si affloscia.
Un rumore che vale la pena di sentire una volta, nella vita.
Io l’ho sentito quattro volte. Come le volte in cui ho tentato di liberarmi da lei.
Scivolando lentamente sulla sua sedia, gli occhiali lividi spaccati, lo sguardo vitreo e vuoto, non ha emesso nemmeno un gemito.
Sempre zitta. Ancora zitta.

Non aveva capito proprio niente, di me.

Cinematic



Scendo un momento a fumare una sigaretta.
Nel cortile del mio ufficio c’è un pino, altissimo.
Sopra ci sono un sacco di corvi gracchianti che svolazzano e si rincorrono. Ogni tanto si fermano su un ramo, il ramo ondeggia un attimo , si incurva sotto il loro peso, poi loro si staccano e scendono in picchiata.
Immagino attacchi, occhi feriti e sanguinanti, urla umane che si mischiano ai loro versi sbeffeggianti e aggressivi.
Immagino un cielo nero e svolazzante.
Il vecchio Alfred è vivo, e lotta insieme a noi.

domenica 13 dicembre 2009

ma gli androidi sognano pecore elettriche ?



quando sei in macchina e guidi per le strade scompigliate dalla neve e il tettuccio della macchina è coperto di neve che mescolata alla pioggia si sta sciogliendo e cade sul vetro della macchina e tu mentre guidi hai queste piccole scie di acqua che ti cadono davanti agli occhi e formano rivoletti a volte drittissimi a volte stranamente ramificati e pensi che sembrano lacrime

(ok, non resisto)

nella pioggia.

L'idiota

L’idiota dice con aria sprezzante che è una dura senz’anima
ma con una sola parola le si può spezzare facilmente il cuore

L’idiota ti guarda da sopra gli occhiali da miope con quel suo atteggiamento da snob e ti dice che lei può fare a meno
Sì, come no.

L’idiota spara cazzate su quanto le donne siano fastidiose con i loro bisogni da donnette
Ma poi si ritrova ad essere più penosa di loro. Per fortuna in silenzio.

L’idiota è cinica, ironica, ti perfora con lo sguardo
Ma lei è perforata da mille ulcere.

L’idiota se ne sbatte, lei ha altro di meglio da fare.
Tipo starsene sdraiata a letto a guardare il soffitto.

L’idiota è corazzata più della Potemkin
Talmente corazzata che affonda sotto il suo peso.

L’idiota se ne torna dov’era.
E’ stato un piacere.

mercoledì 28 ottobre 2009

Come ho conosciuto Chinaski

L’illusione di Dio, di Richard Dawkins (sottotitolo : le ragioni per non credere), nel III capitolo affonta gli argomenti a favore dell’esistenza di dio - prioristiche, aprioristiche, ontologiche, paperette, pernacchiette, ricchi premi e cotillons - smontandoli uno ad uno. Trattazione brillante, certo, ma niente a che vedere con la confutazione delle prove dell’esistenza di dio di Tommaso d’Acquino che fa Chinaski, la quale ha segnato il mio primo incontro con lui (cioè con il suo blog, mica lo conosco Chinaski, e se anche dovessero presentarmelo mi metterei a blaterare idiozie arrossendo e storpiando pure il mio nome, e non perchè lui è Chinaski, mi succede anche con il verduriere, sono timida) e che me ne ha fatto innamorare (sempre del suo blog, vedi parentesi sopra).

Ne riporto qui un pezzetto, ma consiglio a chi se lo fosse perso la lettura completa.

1. ex motu

“Tutto ciò che si muove è mosso da un altro. Non si può procedere all’infinito e dunque bisogna arrivare a un primo motore che chiamiamo Dio.”

Ma avremmo potuto chiamarlo Alberto.
I dubbi sul perché non si possa procedere all’infinito, poi, vengono dissipati dal seguente esempio:

Tommaso: tu sei un uomo buono, Guglielmo. Dico bene?
Guglielmo: ti ringrazio.
Tommaso: ma tuo cugino Abelardo lo è più di te, giusto?
Guglielmo: sì, è vero.
Tommaso: e qualcun altro lo sarà più di lui.
Guglielmo: è probabile.
Tommaso: ma non possiamo procedere all’infinito.
Guglielmo: ah, no?
Tommaso: no, guarda, devo andare a prendere la bambina a scuola, tra poco.
Gugliemo: ah, scusa. Allora non possiamo.
Tommaso: magari la prossima volta.
Gugliemo: ma sì.
Tommaso: allora questo lo chiamiamo Dio.
Guglielmo: magistrale.

venerdì 23 ottobre 2009

Arti superiori

Sono qui.
al buio.
Le braccia spalancate, congelate in una specie di abbraccio che non stringe nessuno.
Cominciava a piacermi, cominciavo a imparare di nuovo. Ero goffa, maldestra, forse anche un po’ ridicola, e le braccia mi facevano anche male, dopo un po’.
Questione di allenamento. Sono poco allenata.
Ma ci provavo, oh se ci provavo.
La memoria degli abbracci se ne era andata completamente. Questi erano nuovi, erano come i primi che avessi mai dato e ricevuto. Non ricordavo più.
Ci si dimentica del calore, quando si è in inverno.
E l’inverno, qui da me, è lungo. Maledettamente lungo.
Cominciavo a credere che quelle braccia fossero per me. Proprio per me.
All’inizio non ci credevo.
Mi ritraevo. Perchè temevo che fosse uno sbaglio.
Poi, lentamente, anche io ho allargato le braccia. Muscoli indolenziti, nervi tesi, un peso quasi insostenibile.
Però ce la facevo.
Ed era bello. Caldo. Sentimentale. Una parola che avevo imparato a detestare.

Dovevo stare più attenta. Le bestie ferite non si devono fidare delle mani alzate. Possono essere una carezza ma anche un pugno, una bastonata.
Questione di tempi.
Dovevo immaginarlo.
Così’ adesso non riesco più a muoverle. Sono rimaste lì, inerti ma spalancate, e non le comando più.
Ci vorrà tempo per riuscire a scioglierle da quell’abbraccio che nascondeva un pugno.
Ma il tempo non mi manca.

lunedì 19 ottobre 2009

Dressed to think

Oggi, verso le due, mentre stavo per uscire dal lavoro, mi chiama la mia amica G.
Io e G. siamo state assunte insieme in quel postaccio, un milione di anni fa: avevamo entrambe 23 anni ed eravamo le pesti dell’ufficio. Andavamo a farci le canne nel bagno delle donne, facevamo le gare di velocità nel cortile, d’estate sguazzavamo nell’acqua degli irrigatori del giardino e tutti ci guardavano come se fossimo due aliene. Uscivamo sempre insieme la sera, facevamo tardi e il mattino dopo ci si reincontrava al caffè con occhiali neri le orecchie che fischiavano (si ballava musica pesante, allora).
Poi la vita e il lavoro, come si usa dire, ci hanno separate, ma abbiamo continuato, seppur sporadicamente, a vederci.
Comunque oggi G. mi chiama e mi dice “ti accompagno verso l’uscita perchè ho bisogno di parlarti”.
La mia prima reazione è stata di pensare velocemente a una scusa per non vederla oggi e rimandare a domani, ma siccome non mi è venuto in mente niente di adeguato le ho detto che andava bene, ho preso la mia roba e mi sono apprestata ad incontrarla.
Ora vi chiederete (lo so che nessuno si chiede niente, è solo un artificio retorico, suvvìa) come mai non volessi incontrarla, visto che è una mia cara amica ed era da tempo che non ci si vedeva.
Presto detto.
Avevo un vestito carino e le scarpe coi tacchi.
Beh, direte voi, miei piccoli lettori (ah questa non è mia, è di Collodi), ma che problema c’è scusa ?
Il problema è che io quando ho un vestito e i tacchi, cioè quando sono vestita da donna-femmina, mi sento una cretina.
Non lo so il perchè, lo so che il pregiudizio sulle donne belle e oche o brutte e intelligenti è, appunto, un pregiudizio, lo so che si può essere intelligenti con i tacchi e cretine con gli anfibi.
Ma io mi sento una cretina.
E mentre G. mi parlava, ed io ero attenta e certamente anche in grande empatia con lei (che era in jeans, scarpe basse e una maglietta, tra parentesi), in una zona d’ombra del mio cervello c’era una vocina che diceva “ma come fai a capire quello che dice ? guardati, sei vestita da oca mentre lei, lei sì che è vestita nel modo giusto per ragionare”
Cioè, per dire : dopo Vestito per Uccidere, adesso io ho inventato Vestito per Pensare.

venerdì 16 ottobre 2009

gabinetti


Solo il gabinetto giapponese è interamente concepito per lo spirito. Discosti dall’edificio principale, i gabinetti stanno accucciati sotto minuscoli cespi selvosi, da cui viene odore di verde di foglie, e di borraccina. E’ bello, là, accovacciarsi nel lucore che filtra dallo shoji, e fantasticare, e guardare il giardino. Tra i sommi piaceri dell’esistenza Natsume Soseki annoverava le evacuazioni mattutine: piacere fisiologico, che solo nel gabinetto alla giapponese, fra lisce pareti di legno dalle sottili venature, mirando l’azzurro del cielo e il verde della vegetazione, si può assaporare sino in fondo.

Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra

giovedì 15 ottobre 2009

avrei voluto dirlo io


E non mi si parli, dopo tutto questo, del lavoro, voglio dire del valore morale del lavoro. Sono costretto ad accettare l’idea del lavoro come necessità materiale, a questo riguardo sono quanto mai favorevole alla sua migliore e più giusta ripartizione. Che le sinistre condizioni della vita me lo impongano, passi, ma che mi si chieda di onorare il mio, o quello degli altri, mai. Preferisco, ancora una volta, camminare nella notte, piuttosto che credersi uno che cammina in pieno giorno. A nulla serve essere vivi, nel tempo in cui si lavora. L’evento dal quale ciascuno ha il diritto di attendersi la rivelazione del senso della propria vita, questo evento che forse non ho mai trovato ma sulla traccia del quale io cerco me stesso, non è a prezzo del lavoro

Andrè Breton, Nadja, 1928

martedì 13 ottobre 2009

un funerale



La pazza se ne andava in giro per il villaggio mostrando la sua feroce dentatura. Se ti avvicinavi troppo ti sibilava qualcosa e sputava, per farti paura. Ma poi tornava indietro, ti spiava e ti sorrideva. Un sorriso spaventoso, bellissimo.

Il funerale era al quarto giorno, i dodici bufali erano stati sgozzati il giorno prima, quello era il giorno della condivisione. Brandelli di carne insanguinata giacevano ai lati di ogni capanna, le mosche ronzavano aggressive, l’odore dolciastro e ferroso del sangue impregnava l’aria. Il riso si mescolava con del liquore a buon mercato e veniva offerto dai parenti del defunto a tutti quelli che assistevano al rito.

Il riso l’ho accettato, il brandello di bufalo non ce l’ho fatta. L’ho regalato alla pazza, che adesso non sibilava più e mi voleva davvero tanto bene.

Come diventare Sylvia Plath in due mosse

Mossa 1
Utente: E quindi sono passata al piano B
Strizza : Che sarebbe?
Utente: Dormire. O in alternativa, fissare il soffitto.
Strizza : Il piano A qual è ?
Utente: Il piano A è l'Innominabile.
Strizza : E il piano C ?
Utente: Non esiste nessun fottuto piano C
Strizza : ......
Utente: .......
Strizza : Credo che a questo punto sia necessario rivedere la terapia farmacologica.
Utente: Facciamo così.
Mossa 2
Utente: E quindi Lei si è allarmata e mi ha mandato qui.
Psych : Beh, direi che le confermo che è necessario rivedere un po' le cose. Non credo che il Tiratemifuoridaquestamerda da 10 mg sia più sufficiente. Aggiungerei il Cazzoc'èunpo'divitachescorrequidentro? da 75 mg a rilascio prolungato, ma facciamo a scalare, non da prendere subito solo quello. Perchè non le consiglierei un washout di due settimane a meno che non si prenda in considerazione un ricovero.
Utente: Come, un ricovero ?
Psych: Beh guardi che solo 20 anni fa non ci avrebbero pensato due volte con una come lei.
Utente: (alzandosi in piedi) Dottore ma è meraviglioso !! Ma allora sono come Sylvia Plath senza i nazisti e le pedate in faccia ! Come Virginia Woolf senza Bloomsbury! Lei mi rimette in pace con la mia totale mancanza di significato !
Psych: ....
Utente: (sorride beatamente, gli occhi lucidi di commozione)
Psych: e cominci da subito, mi raccomando.

lunedì 12 ottobre 2009

sesso estremo



Che poi a me tutto questo strillare di quanto ti piace scopare, quanti partners in una notte sola ti sei passata, di quanta voglia di cazzo hai, a me sembra veramente patetico. Mi dà l’idea, non so, di essere un penoso tentativo, da parte delle donne, di mostrarsi all’altezza della voracità sessuale maschile, di adeguarsi stancamente a delle fantasie pur non essendo assolutamente in grado. Cerchi gnocca, ragazzo ? eccola qua, bell’e pronta, infoiata il giusto e senza tutte quelle tiritere sul sentimento. Ah, come sono moderna.

Ora non discuto sul fatto che il sesso possa essere bello e divertente anche senza alcuna implicazione sentimentale. E’ un gioco, e come tale lo si può giocare con chiunque. Ma vorrei far notare che a volte - parecchie volte - è una palla mostruosa. Con questo tizio che non ti sembrava fosse così pesante quando l’hai conosciuto e che ti sta appiattendo come uno schiacciasassi. Quell’altro che non la finisce più e santiddio fai qualcosa ma piantala lì. Il tizio che non hai fatto in tempo a capire cosa stava succedendo che per lui è già bell’e che finito. Con l’altro che è tutto un sospiro e un affanno che inizi a chiederti se c’è il Ventolin a portata di mano. L’altro ancora che ti rigira come un calzino per far vedere quanto è fantasioso e pieno di iniziativa ma non riesce a impedirti di pensare che domani devi assolutamente ricordarti di prenotare il dentista. Insomma dai, non è sempre quella gran scopata che val la pena di raccontare il giorno dopo.

Ecco poi, raccontare. Siamo grandi e abbiamo tutti avuto le nostre storie (tranne la Binetti, direi), non è che tutti qui si crepi dalla voglia di sapere delle tempeste ormonali degli altri. A me tutta ‘sta moda di rendere pubbliche le proprie imprese erotiche urlandoci nelle orecchie mi sa, più che di sesso estremo, di sesso estremamente noioso. E quelli che seguono questa moda mi ricordano tanto quando in seconda elementare andavi a cercare “cacca” sul dizionario. E ti sentivi coosì cattivo.

lunedì 5 ottobre 2009




Isola di Giacarta, alle sei del mattino. Le nuvole si alzano scoprendo lentamente la cima del vulcano e lasciandomi ammutolita di fronte a tanta bellezza. Ogni volta che guardo questa foto mi commuovo.

venerdì 2 ottobre 2009

physique du role

E questo muratore che alle 7,30 del mattino, mentre tu stai pensando solo al prossimo caffè con gli occhi cisposi e la morte dentro, ti grida dietro un apprezzamento da quattro soldi, probabilmente senza nemmeno averti guardata, gli basta un ticchettìo di tacchi, un’ombra di profumo, questo muratore, pensavo, anche lui è ingabbiato nel suo ruolo di Muratore Gridante del Mattino, anche lui pensa solo al suo caffè o alla giornata faticosa che lo aspetta, al bambino che comincia la scuola, alla rata del mutuo, ma si sente obbligato a dire qualcosa di banalmente muratoriale perchè da un muratore ci si aspetta questo, mica che parli di Kant. E niente, questo muratore, stamattina, invece di infastidirmi mi ha fatto proprio tenerezza.

domenica 27 settembre 2009

Fisiognomica

Seduta al tavolino di un bar, l’altra mattina, in piazza Vittorio. Cappuccino e sigaretta.
Guardo la gente che passa.
Passa un tizio, alto, occhiali scuri, pizzetto. Mi guarda. Io lo guardo.
Lui continua a guardarmi. Scatta la consapevolezza che io questo qua lo conosco.
Dev’essere un amico di qualcuno ma dove l’ho visto comunque visto che mi sta guardando mi ha riconosciuto anche lui forse l’ho visto al lavoro o a casa di qualcuno ma dove cazz..
Sbam.
Ci ho passato una notte con costui. Nemmeno troppo tempo fa. Non aveva il pizzetto e non aveva gli occhiali neri, ma è lui.
Lui passa via, io torno al mio cappuccino.
Leggera nausea.
Certe volte il sesso è solo uno stridere di corpi.

Il primo posto in cui sono stata

Quando la riportano giù dalla sala operatoria è ancora addormentata.
Ha una flebo attaccata al braccio ed è molto spettinata. Lei che ha sempre i capelli in ordine, ben tagliati e curati.
E’ la prima cosa che noto.
La guardo e mi pare un po’ gonfia in faccia, ma sarà l’effetto dell’anestesia. Così pallida, senza un filo di trucco e spettinata sembra tanto pù vecchia del solito. In genere nessuno le dà i suoi 74 anni. Ma 74 anni son mica pochi sotto il neon bianco di una stanza di ospedale.
Era un’operazione di routine, un piccolo fastidio per cui era necessario togliere l’utero.
Mia sorella scherza e dice : Beh, vuol dire che non potremo più avere fratelli.
Ma io penso che adesso il primo posto in cui sono stata non c’è più.
Ci sono stata nove mesi lì dentro, anche qualcosa di più perchè pare non volessi assolutamente uscire. Già pigra e indolente allora. La mia prima casa, la mia prima culla, liquida accogliente tiepida e morbida.
Venivo da lì dentro. E adesso quel posto non c’è più.
Mi sento sradicata come se mi avessero espropriata di qualcosa.

giovedì 24 settembre 2009

Shakered, not stirred

Oggi riflettevo sul mio tipo di uomo ideale.
Parlo del tipo fisico, di quelle caratteristiche evidenti appena ti cadono gli occhi su una creatura dell’altro sesso, che magari incroci per strada e nemmeno conosci ma che ti colpisce perchè ha qualcosa che ti piace.
Allora, il mio tipo fisico ideale dovrebbe essere alto, possibilmente molto alto, magro (anche patito va bene), biondiccio o comunque con i capelli chiari, dinoccolato, e non mi dispiacciono i nasi un po’ lunghi o grossi (senza esagerare).

Quindi in sostanza il mio tipo ideale è qualcosa a metà tra un epilettico suicida , un tossico disegnato, un sassofonista allampanato e un trombettista eroinomane

C’è da riflettere.

Di camorristi, gattini e gomme tagliate

Ho una collega.
Assunta da poco, laureata in lingue, giovane (34 anni) e con ambizioni di carriera, lavoro soddisfacente, trasferte remunerative etc.
Tutte cose in cui io non credo, ma io qui sono un meteorite piombato da un pianeta sconosciuto.
Lei al mattino arriva con una copia di Leggo, quel terribile giornaletto che ti infilano anche se non lo vuoi attraverso il finestrino aperto della macchina, e legge l’oroscopo. Soprattutto al reparto Amore.
E poi butta via il giornaletto.
E vabbè, mica siam tutti uguali.
Il suo screensaver è una serie infinita di gattini, neonati circondati da fiorellini, nuvolette, paperette, cuoricini.
Lei è una donna romantica.
Lei quando ha tempo, cioè quasi mai, legge libri sugli angeli che ci proteggono e sulla reincarnazione e sulle testimonianze di chi torna dall’aldilà dopo il coma, e trova che Dan Brown sia grande autore.
Vabbè, mica tutti possiamo tirarcela perchè abbiamo letto Infinite Jest note comprese.
Lei ascolta Laura Pausini, canticchia tutto il giorno Sincerità (o Fatalità, o come cazzo si chiama quella schifezza che finisce con la à), e si lamenta della mia musica, dice che ascolto roba inascoltabile (e non erano gli Eintuerzende, erano i Franz Ferdinand).
Ok, ok, una buona cultura musicale non è da tutti, no ?
Ma ieri ho scoperto che non ha mai sentito nominare Saviano e il suo libro. Ora, non è che uno debba amare e osannare Saviano, si possono avere opinioni più diverse e anche muovergli delle critiche, ma PORCADIQUELLAPUTTANANONL’HAIMAISENTITO NOMINARE????
ma dove sei tra le 19 e le 21 quando anche Fede dice la sua su Saviano ? Sei mai entrata negli ultimi tre anni in una libreria in cui ci sono pile e pile di sto fondo nero coi coltelli rosa? Non ti è mai capitato, facendo zapping tra un film di Richard Gere dove o muore lui o muore lei (sempre in autunno) e l’Isola dei Famosi, di imbatterti in qualcuno che ne parla, oppure parla di camorra, o anche solo nota come il rosa risalti su un fondo nero? ma cosa hai in quella testa oltre ad un’orrenda tinta bionda e gli occhi truccati come Cleopatra quando si preparava per una sveltina con Antonio?
Ma non volevo parlare della mia collega. Divago. Volevo parlare di me.
Di me che se questa situazione mi fosse capitata diciamo una ventina di anni fa, questa qua si trovava con le gomme della macchina tagliate.
Invece adesso son diventata più vecchia, più comprensiva e più elastica, più morbida (no, non sto parlando delle tette). Cerco di capire, mi sono fatta una ragione sul fatto che il mio mondo non è necessariamente il migliore nè, soprattutto, l’unico, e che tra esseri umani ci può essere scambio anche nella diversità.
Solo che questo non mi va giù. MI rimane come un boccone di bolo in gola, e ho voglia di sputare.
Di sputarle addosso.
No, nessuna pietà, nessuna comprensione, nessun paternalismo. Ok, viviamo in due monadi separate e senza contatti, e un fato avverso ci costringe a lavorare una di fronte all’altra, ma io non posso nè voglio avere nessun tipo di rapporto con una persona così.
Me ne strabatto i coglioni di lei e dei suoi problemi di cuore, della serie infinita di delusioni sentimentali (e tte credo) e del fatto che non riesca a dimagrire o non trovi i biglietti per Notre Dame de Paris. Io la voglio morta. O perlomeno con una bruttissima malattia.