martedì 25 ottobre 2011

madame Bovary c'est moi

Da qualche tempo mi piace portare gonne molto lunghe che quasi toccano per terra. Ne ho di molti colori, anche se quelle che preferisco sono due: una rossa in shantung di seta che mi sono fatta fare in India e un'altra nera, di un tessuto un po' lucido, lunga fino ai piedi.
La cosa che mi piace tanto  fare,  quando metto queste cose,  è salire o scendere le scale: perché devo raccogliere la gonna  con le mani, tirandola leggermente su per non inciampare nei gradini. E un gesto bellissimo, molto femminile, molto ottocentesco. Immagino quante Emme Bovary, quante Anne Karenine, quante Nastassje Filippovne abbiano ripetuto questo gesto infinite volte, salendo o scendendo le scale delle loro case, andando a trovare i loro amanti, fuggendo in qualche angolo nascosto per piangere le loro lacrime d'amore. Mentre salgo le scale dell'ufficio o di casa mia, o le scale mobili della metropolitana, me le vedo tutte intorno, minute, nervose, eleganti e raffinate, ripetere con me questo gesto così sensuale. E mi sento, a volte, meno sola. 

domenica 23 ottobre 2011

Se potessi avere ottantamila euro



Con ottantamila euro puoi fare il giro del mondo in alberghi da sogno dove ci sei solo tu, il mare e una squadra di camerieri che ti sventolano foglie di palma per rinfrescarti; puoi comprarti un auto della puta madre, nuova fiammante, che fa i 200 all’ora, con tutti gli optional che hanno quelle sigle incomprensibili; puoi dare un corposo anticipo per comprarti la casa della tua vita; puoi rivoluzionare l’arredamento di tutta la casa e già che ci sei metterci dentro una chaise longue di Le Corbusier; puoi toglierti qualche sfizio innocente, orologi d’oro, gioielli, carinissimi tailleur di Chanel.

Oppure puoi prendere un aereo da Lagos a Torino, Milano o Roma, metterti un paio di stivaloni al ginocchio con zeppa da 15 centimetri, una minigonna che a malapena ti copre il culo anche nelle notti invernali, e adescare clienti sculettando sui trampoli.
Ottantamila euro è la cifra che le donne nigeriane devono restituire per essere riuscite ad arrivare in Italia. Vale la pena, no? 

sabato 22 ottobre 2011

il mio piccolo figlio di puttana

E' piccolo, è malato, la prima di una lunga serie di piccole malattie che si prendono all'asilo.  Non ha ancora due anni, è nero, nerissimo, gli occhi sono lucidi, la bocca, grande e sporgente, è secca. Respira male, ha tantissima tosse, la fronte calda e le mani gelate. Quando arrivo a casa sua mi accoglie sulla porta con le braccia aperte per farsi prendere in braccio e un sorriso enorme che da grande sarà la sua benedizione e la sua tecnica di seduzione, ma adesso è solo un sorriso da bambino nero malato. Appena lo prendo in braccio si accascia contro di me, perché la gioia di vedermi si contende con l'influenza tutte le sue energie, e adesso l'influenza sta vincendo.
Anche sua madre mi aspettava sulla porta, già vestita e con il portafogli in mano, per lasciarmi in consegna il bambino e correre in farmacia a comprare le medicine che le hanno prescritto in ospedale, dove l'ha portato stanotte perché non sapeva cosa fare. Lei parla pochissimo e male l'italiano, ma stanotte si è presa un taxi, è volata col bambino in ospedale, ha aspettato al pronto soccorso, ha fatto visitare il bambino, non ha chiuso occhio. E' stremata. Corre via biascicando un grazie, corre a cercare una farmacia, e io resto lì. Con questo piccolo, bellissimo figlio di puttana, figlio di chissà chi, che mi si addormenta in braccio. Sua madre parla poco, non conosco bene la sua storia,  quando è arrivata da noi era incinta e non faceva più il lavoro che faceva prima, quello per cui l'hanno mandata qui dall'Africa. Sua madre non ha un passato perché l'ha cancellato, anche se non credo che l'abbia dimenticato.
E questo bambino è quello che la tiene in piedi, che la ricostruisce, che la guarisce anche se è ammalato.
Guarirà, questo bambino, perché l'influenza si cura. Non sono altrettanto sicura che guarirà lei. 

domenica 2 ottobre 2011

Proprio io

Proprio io, quella che la domenica difficilmente si schioda dalla sua casa, dal suo letto, dai suoi libri, sono andata a fare il pranzo della domenica fuori porta.

Proprio io, quella che (quando può) sceglie  ristorantini etnici con nomi esotici intorno a Piazza Vittorio o nelle vie un tempo buie e adesso troppo modaiole del Quadrilatero o di San Salvario, sono andata a pranzo nella piatta e anonima periferia, a Leinì, luogo di cui fino a oggi ignoravo l'esistenza, al ristorante "La bela ranera" (sarebbe la signora che va a cercare le rane, l'ho scoperto oggi)

Proprio io, quella che se pranza o cena fuori lo fa con gli amici più stretti, che amano la discussione, il gioco di parole pseudo letterario, la boutade da vecchi compari di una vita, ho pranzato con una donna di ottant'anni e la sua badante e ho parlato di medicine, ospedali, mariti morti, vedove sopravvissute.

Gli spigoli si arrotondano, gli aculei rientrano, l'acidità si stempera. E' l'età, dicono.

sabato 1 ottobre 2011

Due paroline al mio subconscio

Ieri parlavo con un amico, no beh, non proprio un amico perché ci conosciamo da poco tempo, però insomma è una persona che mi piace e con cui mi sento a mio agio a parlare, e alla quale ho anche confidato qualcosa di me e dei miei noiosissimi complessi d'inferiorità nei confronti dell'universo mondo, della mia mancanza d'autostima e insomma di quelle cose che le donne raccontano e che gli uomini in genere pensano Eh ma che palle questa qua. Insomma - dicevo - stavamo parlando e lui mi ha detto che devo avere più fiducia in me, che devo credere di più a quello che faccio perché lo faccio anche bene, che devo fidarmi di me stessa, un sacco di cose carine che mi hanno fatto molto piacere.

E così questa notte, mentre dormivo beatamente il sonno dei giusti e dei complessati, il mio subconscio ha lavorato per me e mi ha elaborato un sogno, confezionato ad hoc, per indicarmi la Via, per dimostrarmi che anche io valgo qualcosa, che sono una donna in gamba : mi ha cucinato lì per lì una storia in cui ricevevo una telefonata da un giornale che voleva intervistarmi in merito a un progetto letterario di cui mi sto occupando in questi giorni nella vita reale.

 Solo che probabilmente anche il mio subconscio ha bisogno di una regolatina al minimo e magari di una bella revisione, o forse è solo fuori allenamento, o magari sono solo i primi goffi tentativi che non sempre riescono proprio bene: infatti la testata che mi voleva intervistare era la Gazzetta dello Sport, un giornale di cui so solo che è rosa e che non ho mai aperto, che notoriamente non si occupa di letteratura, e mi facevano delle domande al telefono mentre era in corso una partita importantissima - che so, Italia Germania Ovest ai mondiali dell'82 (sì, ho googlato) - e io non sentivo nulla se non dei boati infernali.

 Ok, vado a dire due paroline al mio sè interiore.