domenica 12 settembre 2010

Pubblicità subliminale

Quando in un bar ordini un cappuccino e ti chiedono se lo vuoi caldo o tiepido, per me è già amore. Se poi ti chiedono se sopra ci vuoi la cannella o il cacao, lasciando intendere che il cacao è un po'più cafone perché ammazza il delicato gusto del latte, allora è venerazione. Se poi, ancora, ti chiedono se vuoi mettere la bici dentro al bar per evitare spiacevoli ruberie, è vittoria schiacciante. Sappiate che la Torrefazione Moiso in Corso regina angolo Corso XI febbraio a Torino è stata eletta da me il Miglior Posto In Cui Fare Colazione La Domenica Mattina

venerdì 10 settembre 2010

La mia casa

Ieri ti guardavo camminare davanti a me mentre tornavi verso la macchina in preda all’ansia di avere dimenticato l’autoradio. Ti è rimasta questa vecchia abitudine. Quante volte ho vissuto la stessa scena, uscendo, facevamo due passi e all’improvviso ti veniva in mente che forse avevi dimenticato di chiudere la macchina, di spegnere la luce, di prendere i documenti. Cambiavi espressione, ti veniva la faccia preoccupata e tesa, e poi ti rilassavi e facevi un mezzo sorriso perché era tutto a posto, le cose erano tornate nel loro ordine prestabilito. Stabilito da te.
Ti guardavo camminare davanti a me di qualche passo, mi sono fermata per guardarti bene: hai le spalle un po’ più curve, hai messo su qualche chilo, ma la tua camminata è sempre la stessa, dinoccolata, sperduta, pigra. Le gambe lunghe e magre un po’ più strette alle ginocchia, le scarpe sempre uguali, la testa inclinata in avanti verso la tua meta. La maglia infilata nei pantaloni perché hai sempre avuto paura di sembrare troppo magro.
Quante volte ti ho visto camminare davanti a me. Quante volte ti ho camminato vicino.
Sono stata invasa da quel senso di familiarità e di intimità che solo i gesti mille volte ripetuti e mille volte visti ti sanno comunicare, e allo stesso tempo da una fitta dolorosa di straniamento perché conosco a memoria la mappa del tuo corpo, tutti i tuoi piccoli gesti, ma tu non cammini più con me.

Sei sempre tu la mia casa.

lunedì 31 maggio 2010

Madeleine

oggi mentre tornavo dalla piscina e percorrevo il lungo Po sulla motoretta e avevo il costume ancora un po' bagnaticcio sotto il vestito e corso Moncalieri era quasi sgombro e c'era questo profumo misto di acqua e di prato, come se la collina e il fiume si scambiassero gli odori e avevo un vestitino rosa fragola e le infradito di gomma e per un attimo mi è sembrato di tornare a quando avevo 15 anni ed era finita la scuola e i pomeriggi erano lunghissimi e i tre mesi di vacanza erano una vita piena di occasioni e di scoperte e l'odore della libertà lo respiravi proprio ti entrava dritto nei polmoni e qualche volta, quando finisce la scuola, io lo sento ancora quell'odore lì anche se a scuola non ci vado più da una vita.

domenica 16 maggio 2010

una cosa che ho capito di me

Da qualche tempo soffro di attacchi di panico. Io sono una persona tranquilla e per niente ansiosa, ma a partire da un certo evento della mia vita di qualche anno fa mi succede che ogni tanto mi manca il respiro, tutto mi gira freneticamente intorno, inizio a boccheggiare e non riesco più a mettere un piede davanti all'altro per camminare.
Mi è successo di nuovo ieri, al Salone del Libro, dove ero andata, da sola, con uno zaino capiente, il programma degli incontri ben sottolineato e un delizioso programmino di shopping estremo. Ho fatto la coda per entrare, ho pagato i miei otto eurini e dopo mezzora son dovuta uscire di corsa, prendere un taxi e tornarmene a casa balbettando l'indirizzo all'autista. C'era troppa gente lì dentro, troppi respiri, troppi passi, troppi libri, troppi incontri.
Poi, a casa, ho avuto modo di pensarci su, oltre a sentirmi una cretina. E ho capito una cosa di me: che stare molto da sola non è un'opzione, una scelta. E' una necessità. Non posso sopportare altri che me stessa. E nemmeno sempre.
E non ho nemmeno comprato la maglietta di Spinoza.

mercoledì 12 maggio 2010

Le foglie vive

Qualche giorno fa era l’anniversario di matrimonio di mia mamma. Lei lo festeggia sempre, anche se suo marito - mio padre – è morto tantissimi anni fa e lei adesso vive con un altro compagno. Sono stati sposati solo per sei anni quei due lì, hanno appena avuto il tempo di fare due bambine e poi lui se n’è andato, un po’ troppo velocemente. Ma ogni anno, il sette di maggio, lei se lo passa tra ricordi, vecchie foto e vecchie canzoni e rimpianti sempre nuovi.
Così quel giorno lei era lì che ascoltava Gino Paoli e piangeva e pensava che lui avrebbe anche potuto mandarle un segno, per farle capire che anche dopo tutti questi anni le stava ancora vicino. E in quel momento dal balcone è volata in casa un foglia rossa, fatta a forma di cuore. Una foglia che non proveniva da nessuna delle piante che lei ha sul balcone: una foglia rossa fatta a cuore che veniva da lontano.
Prima di raccontarmi questa cosa lei mi ha fatto promettere che non l’avrei presa in giro, perché sa che io sono una scettica e non credo nei segni e nelle voci che arrivano “da là”. Io non solo non l’ho presa in giro ma l’ho abbracciata forte e le ho detto che le volevo tanto bene.

lunedì 10 maggio 2010

scontro di culture

Il mio amico Nicola, che essendo molto bravo a disegnare ha fatto un carrierone da Giugiaro, ha partecipato qualche giorno fa a una riunione con dei clienti coreani che producono docce. Pare che i coreani adorino spendere i loro Won facendosi firmare tutte le loro cosettine coreane da Giugiaro, e chi siamo noi per criticarli? Quindi insomma c’era questa riunione e i coreani arrivano, comme d’abitude, con dei regalucci per gli ospiti italiani, e il mio amico Nicola scartoccia il suo pacchetto davanti al coreano donatore. Dentro al pacchetto c’è un soffione per la doccia, e questa sembra la cosa più naturale, trattandosi di un produttore di docce, anche se come regalo di rappresentanza, insomma, è un po’ così. Ma si viene subito a scoprire che il coso, lì, non è esattamente un soffione per la doccia quando Nicola fa il gesto di passarselo sulla testa dicendo It’s for the shower, isn’t it? e il gentile coreano risponde Oh no no no, gli prende dalle mani lo pseudo soffione e se lo passa con grande naturalezza intorno alla zona genitali. Trattasi in sostanza di un aggeggio per farsi le seghe, da collegare al soffione della doccia, infilarci il pisello dentro e farci scorrere l’acqua intorno.
A parte che questo la dice lunga sui regali di rappresentanza provenienti da culture diverse, io mi chiedo: se al posto di Nicola ci fosse stata una donna, le avrebbero regalato un vibratore? Questi tizi produrranno aggeggi di misure diverse a seconda delle dimensioni? Se ottenessero una commessa dal Vaticano, arriverebbero con gli stessi regali? Ma soprattutto, funzionerà? Nic dice che gli fa paura mettere lì dentro il pisello, ma io sto tentando di convincerlo a testare il prodotto.
Vi farò sapere.

martedì 30 marzo 2010

Che poi.

che poi io faccio tanto l'indignata, l'amareggiata, scuoto la testa (poco che mi si rovina la piega) e sposto gli angoli della bocca all'ingiù, ma a me frega un cazzo di queste elezioni.
Io un lavoro ce l'ho, e di qui non mi sbatteranno mai via. Ho una casa mia, che me la sono sudata col lavoro, e d'estate me ne vado in vacanza dove mi pare. Quest'anno pensavo a una settimana sul Mar Rosso che ci vanno tutti e che dice che ci sono alberghi fantastici con la piscina che la stanza te la porti via a cinquanta sessanta euro. Ho il computer e sono su Facebook che è il più grande network del mondo e sento che faccio parte di qualcosa di molto global, e sono pure iscritta a tutti i gruppi antiberlusconiani e contro la guerra - quale guerra ? non so, un po' tutte - e al mattino leggo City o Leggo, uno sguardo veloce ai titoli in prima pagina e via con l'oroscopo. Che dice che ci sono vantaggi economici questa settimana, spero che mi arrivi l'aumento che dove lavoro io le donne sono discriminate, come dice quella mail che mi è arrivata che le donne per fare carriera devono avere il doppio d'intelligenza degli uomini, che poi ci vuol poco. Molto originale, l'ho mandata in giro a tutte le mie amiche, che sono tutte donne fantastiche. E un po' pazzerelle. Anche loro tutte su facebook. Ecco mi piacerebbe avere un po' più di soldi, o pagare meno tasse, che le spese non finiscono mai, e poi mica è giusto che siamo sempre noi lavoratori dipendenti a pagare. Per questo sì che mi dispiace che non abbia vinto la sinistra che almeno avrebbe fatto pagare le tasse a tutti soprattutto a quelli con la barca, ma tanto la politica ormai fa schifo, a destra e a sinistra. Alla fine quello che conta è che io viva bene (magari anche un po' meglio non sarebbe malaccio) e chissenefrega se gli altri son senza lavoro o senza casa. Cioè sì, un po' mi dispiace eh, mica sono così stronza, anzi adesso vado a vedere se su facebook c'è un gruppo di sostegno a chi non ha un lavoro e mi iscrivo, così posso dire anche io di avere fatto il possibile per questa società.

mercoledì 17 marzo 2010

Se vedi un punto nero

C'è questo tizio, un venticinque anni brutti, che si siede davanti a me sulla metro. Porta un loden blu e quei ray-ban con la montatura dorata che non ne vedevo più dai tempi del liceo, e mica se li toglie anche se nella metro dai, non è che ce ne sia proprio bisogno. Auricolari nelle orecchie, capelli rasati quasi a zero, la pelle del viso rosea di quelle che la barba te la fai una volta a settimana se va bene.
Lo guardo e penso Questo qua è un fascista.
Penso proprio così, come si diceva una volta, fasci, fascisti, li riconoscevi subito perché avevano la faccia cattiva. Adesso ce l'hanno in tanti la faccia cattiva, c'è confusione, però questo qua mi sa proprio di.

Scende in corso Francia, alla fermata più vicina al Frontedellagioventù.

E niente, sarò anche fuori allenamento ma ci azzecco ancora parecchio.

sabato 13 marzo 2010

Sex Toys

Oh my god.
Sono una dei 30 finalisti del contest 100words. Il mio incipit è stato scelto dalla Holden e adesso devo continuare il racconto.
Panico e ansia da prestazione, leave me alone.

Ecco la graduatoria completa.

E siccome so che tra i blogreaders la pigrizia incalza, e siccome oggi mi sento in botta di autostima, ecco qui il mio incipit tutto per voi, miei piccoli lettori

Sex Toys

Mani esitanti e lievemente sudate sulla tastiera.
Vergogna pudore eccitazione timore senso del ridicolo. Del grottesco.
Alla mia età dovrei pensare alla menopausa e agli isoflavoni di soia.
E invece.
Invece il bisogno di un corpo non si affievolisce, anzi. Forse perché il tuo corpo diventa meno desiderabile, sente sfuggire il tempo, e allora si impunta si intestardisce e vuole spasmodicamente, disperatamente quello che prima poteva prendersi con una semplice e profonda scollatura.
E allora scelgo le opzioni.
Seleziona sesso : maschile, virile, dotato.
Tipo di prestazione richiesta (campo obbligatorio): orgasmo.
Password: invecchio
Connettiti: lo sono già, baby.

giovedì 11 marzo 2010

Nexus 6 difettoso

Mi dicono che è l’atteggiamento che è sbagliato
Pare che ci sia una specie di sostanza che secernono le donne che sono interessate/disponibili/desiderose o predisposte ad una eventuale relazione.
Pare non si tratti di atteggiamento civettuolo o seduttivo, è certo che non ci si riferisca a vertiginosi cleavages o a perizomini esondanti dai jeans: no, è qualcosa di più vago, di ineffabile, vagamente ammiccante, qualcosa che si suppone le donne abbiano incastonato nel loro DNA in sequenza tra adenina e citosina, qualcosa di imprescindibile dalla loro natura.
Bene, io quella cosa lì non ce l’ho, mi dicono. Da me non trasuda alcun interesse nei confronti del maschio. Sono un’eccezione alla regola aurea, un DNA geneticamente modificato, un prodotto difettoso della Tyrell Corporation.

Che poi mica è vero che non mi interessano. E’ che mi disegnano così.
O forse mi disegno da sola.

martedì 23 febbraio 2010

Forty-nine like me

Ho 49 anni. Oggi.

Forse dovrei fare dei bilanci. Ma non ora, non adesso, perché sarebbero inevitabilmente in passivo. Un numerino rosso con un meno davanti.

Io detesto i numerini, specie se rossi.

Un minuto fa avevo 15 anni e pogavo davanti allo specchio. Un minuto fa eh, mica dico così per dire. E adesso ho voglia di sprangare la porta e sparare a vista a chiunque si avvicini.

La saggezza dell’invecchiare è una truffa. Un inganno colossale per evitare il proliferare di perdite di gas e mancanza di lamette dagli scaffali dei supermercati.

Life sucks, sì, ma nel senso che ti succhia via. Ti soffi il naso, sputi un sacco di muco e sai che quello hai a disposizione. Muco.

Ma vaffanculo.

giovedì 11 febbraio 2010

Ma i cinesi sognano pecore elettriche ?

Da un paio d'anni vado a farmi lavare i capelli dai cinesi. Stanno praticamente sotto casa mia, shampoo e piega costano un po' più di un pacchetto di sigarette, in venti minuti sei fuori e i miei capelli hanno finalmente un senso e non sembrano più pettinati dalla presa di corrente. E' vero che devi farti capire a gesti, ma tanto io mica voglio acconciature alla Amy Winehouse, ho i capelli dritti e voglio che dritti restino. E poi c'è il grande vantaggio che - non sapendo una parola di italiano a parte "piega" e "lisci" - non rompono le palle con commenti e gossip su personaggi televisivi dei quali sono totalmente all'oscuro.
C'è l'inconveniente della colonna sonora, un misto di Gigi d'Alessio e Tiziano Ferro miagolanti canzoni che assomigliano alle nostre ma i cui versi finiscono sempre in Chin o Yaon o roba del genere. Ma è un piccolo dolore che riesco a sopportare.
I giovanotti si vestono come i nostri, un po' tamarri, sempre alla moda, le ragazze hanno il culo basso ma son carine, tutte con i capelli lisci e tutte con vocine stridule. Cinesi, insomma. Ragazzi, comunque.
Però oggi pensavo che nonostante ci vada da due anni non ho ancora capito niente di loro.
Che faranno nel tempo libero ? Andranno in discoteca o faranno sedute di Shaolin ? Consulteranno i Ching o si caleranno pasticche ? E cosa mangeranno ? Involtini primavera come se piovesse o una bella amatriciana ? Vedranno film con maestri barbuti che volano e spade rotanti o sono patiti di Fellini e della Nouvelle Vague ? Quando han voglia di qualcosa di esotico vanno alla trattoria toscana? Come si dirà TVTB in cinese ? Stanno su un social network cinese per tenersi in contatto con i loro vecchi amici? E avranno nostalgia del loro paese ?
Allora mi sono immaginata che nel Sichuan magari c'è una donna che oggi è andata a farsi lavare i capelli da un parrucchiere italiano che lavora lì, e si chiede esattamente le stesse cose.

mercoledì 10 febbraio 2010

Siam gente fortunata

Siam gente fortunata noi che, anestetizzati dal sonno violentemente lacerato dalla sveglia, con gli occhi ancora incrostati dai sogni e dal piumone pesante, riusciamo a trasformare la fredda metropolitana in un bozzolo morbido e caldo mettendo le cuffie nelle orecchie e mandando i Blonde Redhead a cullarci ancora un po’, ad accarezzarci e sussurrare per noi, solo per noi.
Siam gente fortunata noi che pompando LCD Soundsystem trasformiamo una strada grigia e fredda in una dance hall, i rami secchi in luci strobo, il cemento in una parete colorata e vagamente psichedelica.
Siam gente strana noi che sincronizziamo il passo con il ritmo danzereccio e camminiamo veloci per stargli dietro e accenniamo un movimento delle braccia e della testa metamorfosizzandolo in mezzo a strati di sciarpe e cappelli imbottiti e sorridiamo contenti anche se solo per un attimo, anche se sono le otto di un dannato mattino di febbraio.

lunedì 8 febbraio 2010

La vita agra




E' per questo che il viso dell'agonizzante ci si mostra sempre così terreo e stravolto: sta lottando, non contro la morte ma contro la vita, perché pensa e si arrabatta di trovare i soldi per pagare il prossimo. Poi, appena morto, lo vedete distendersi, riposare e sorridere ironico. Ora - così par che dica - arrivederci a tutti e sotto voialtri, io stavolta vado in pensione sul serio. Pagateli voi, i conti, e non i vostri soltanto, ma anche i miei, per la cassa, il trasporto, la buca al cimitero. E sorride.

Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962.

domenica 7 febbraio 2010

Snow White, you lousy bitch



quando io e mia sorella eravamo piccole, prima di spegnere la luce ci facevamo sempre raccontare da mia mamma la stessa storia, che aveva inventato lei e che ci piaceva tantissimo. La storia diceva più o meno così: che quando fossimo state più grandicelle, mia sorella un giorno sarebbe tornata a casa dicendo che aveva conosciuto un ragazzo carino, con la camicia a quadrettini, i capelli ricci, i jeans e delle scarpe molto belle, e mia mamma le avrebbe chiesto come si chiama, cosa studia o che lavoro fa, e mia sorella avrebbe risposto non lo so, so solo che era carino e vestito bene. Poi sarei tornata a casa io e avrei detto che avevo conosciuto un ragazzo con una voce bellissima, che sapeva tutto di cinema o di letteratura o di filosofia o di antropologia della Groenlandia, e mia mamma mi avrebbe chiesto com'era, alto, biondo, riccio, grasso e io avrei detto che non lo sapevo, che non avevo mica fatto attenzione a quelle cose lì. Questa cosa, a me e a mia sorella, ci ha segnato tantissimo. Così tanto che mia sorella ha creduto, per tutta la sua adolescenza, di essere un'oca ignorante e semianalfabeta e vanitosa e superficiale, mentre io sono cresciuta pensando che l'unica cosa che conta davvero nella vita è la testa, e il corpo è un contorno piacevole ma, insomma, una ciliegina che anche se non c'è la torta è buona lo stesso.
Così a me dicevano sempre che ero tanto intelligente e io sono cresciuta sentendomi un cesso, a mia sorella dicevano che era tanto carina ed è cresciuta sentendosi un'idiota.
Tutto questo ha avuto ripercussioni di notevole rilevanza, direi anzi drammatiche, per tutte e due. Ha influenzato le nostre scelte, ci ha portate entrambe, ognuna per conto nostro, a fare delle cazzate più grandi di noi e pericolose, a perderci su percorsi non proprio costruttivi.
Adesso quando ci vediamo ci ridiamo su, io e mia sorella. Ma a riderci su ci siamo arrivate con una fatica e ad un prezzo che insomma, averlo saputo allora, forse era meglio se ci facevamo raccontare Biancaneve.

mercoledì 3 febbraio 2010

quello che non prevedevo

E’ soltanto una firma su un pezzo di carta, lo so. Ma è una firma sopra la quale c’è scritto che “nulla ho più a pretendere” . Da te, da quello che eravamo, da quello che sei oggi senza di me.
Fa male, cristo.
Lo prevedevo. Come prevedevo che mi avresti chiesto che programmi avevo nel pomeriggio. Come se ci fossimo incontrati, oggi, così, per prendere un caffè, e non per dichiarare definitivamente anche agli occhi della legge che niente abbiamo più a pretendere l’una dall’altro. Lo prevedevo e mi ero già preparata una scusa, una giustificazione. No, mi spiace, oggi ho dei programmi che non ti coinvolgono, un medico, un amico, un lavoro da finire. La verità no, non ce la faccio a dire che per me oggi passare il pomeriggio insieme sarebbe stato intollerabile, perché non siamo amici, siamo due che si sono amati per quasi vent’anni e poi non so se dopo c’è spazio per qualcosa che non sia la mancanza. Che siam fortunati che non c’è odio o rancore o vendetta, ma oggi no, per favore lasciami stare da sola.
Quello che non prevedevo è che una volta a casa, da sola, sarei stata travolta da questo dolore. Quello che non prevedevo è che oggi mi sarei ascoltata gridare e piangere come qualche anno fa. Oggi è anche la prima volta che ti ho detto di no. Che non ho voluto farti compagnia. Accettando il ruolo di vecchia amica, quella che sempre capisce, comprende, giustifica e scusa. Che non ho voluto raccontarti cosa faccio, come stanno i nostri amici, come passo il mio tempo, mentre tu te ne stai zitto, impermeabile a qualunque domanda su di te. Quello che oggi fa male non è solo la maledetta firma. Oggi mi fa male essere per la prima volta quella che decide di lasciarti andare. Quella che ti dice no. Dopo essere stata per così tanto tempo lasciata sola, oggi ti ho lasciato solo io. E ammettere a me stessa che non ho più bisogno né della tua presenza né della tua mancanza mi strappa la pancia in pezzi.

martedì 26 gennaio 2010

ho fatto un corso di danza indiana

qualche anno fa, con un'allieva di questa danzatrice molto famosa in India, Mallika Sarabhai. Mallika ha anche interpretato Draupadi nel Mahabharata di Peter Brook, che se uno ha quelle sei ore di tempo libero io gli consiglio proprio di vedere.




La danza indiana, il Bharatanatyam, è molto complicata e impegnativa. Richiede una notevole muscolatura ma soprattutto una grande flessibilità. Richiede anche femminilità e attitudine alla seduzione, cosa che, almeno per me che - come dice la mia mamma - sono scarpona, è infinitamente più difficile da imparare.
Quindi ecco qua il suo interevento al TED, di cui mi sono divertita a fare la revisione.
Dura molto meno del Mahabharata di Peter Brook.


http://www.ted.com/talks/lang/ita/mallika_sarabhai.html

venerdì 22 gennaio 2010

Stereo-porno




[...] Il cyclorama vaginale giapponese supera qualunque strip-tease. Prostitute sedute su una piattaforma con le cosce aperte, impiegati in maniche di camicia (è uno spettacolo molto popolare) autorizzati a ficcare il naso nella vagina della donna per vedere, vedere meglio - ma vedere cosa? Si arrampicano uno sull'altro per guadagnarsi il posto, mentre le prostitute parlano loro gentilmente o li rimproverano aspramente per il rispetto della forma. Il resto dello spettacolo, fruste, reciproca masturbazione o strip-tease tradizionale impallidisce in confronto a questo momento di oscenità assoluta, questo momento di voracità visuale che va ben oltre il possesso sessuale. Una pornografia sublime: se potessero, questi uomini vorrebbero essere interamente inghiottiti dalla prostituta.Un'esaltazione della morte? Forse, ma allo stesso tempo essi confrontano e commentano ciascuna vagina con una serietà mortale, senza mai sogghignare o scoppiare in una risata e senza mai cercare di toccare - a meno che la regola non lo preveda. Nessuna indecenza, quanto piuttosto un atto infantile ma estremamente serio, prodotto da una fascinazione assoluta nei confronti dello specchio dell'organo genitale femminile, come la fascinazione di Narciso nei confronti della sua immagine.

Io l'ho tradotto, ma l'ha scritto Jean Baudrillard in Seduzione, 1979. E mi piace tantissimo.

giovedì 21 gennaio 2010

Immagine-tempo

Stavo mettendo a posto vecchie scatole di vecchie cose. Pagelle, foto, appunti di fisica, microbigliettini con traduzioni del De rerum natura, biglietti di treni. E mi spunta fuori una cartolina da Amburgo, che mi fa spuntare fuori una vacanza a Parigi. Avevo 19 anni, era la mia prima volta a Parigi e per rendere le cose ancora più bohèmienne di quanto già lo fossero - partire senza un albergo prenotato, senza sapere una parola di francese e con centomilalire, ci avevo aggiunto anche un fidanzato tossico, così, giusto perché la giovinezza è tanto spensierata. Quel fidanzato tossico si era trascinato fino al primo albergo lercio che aveva una stanza libera e si era ficcato nel letto con quattro pacchetti di sigarette e dei mandarini. Il messaggio era chiaro : Parigi o Kuala Lumpur fregancazzo, io voglio dormire. Così me ne ero andata in giro, per prima cosa al Louvre che alla domenica non si pagava, e mezzora dopo essere entrata ero già innamorata di un altro. Lutz, si chiamava. Tedesco, alto, lunghi capelli biondi e molto più bohèmien dell'altro, ma senza quell'assurda fissazione di spararsi in vena i pochi soldi che aveva. Nella notte già facevo i bagagli per cambiare stanza, dopo aver accompagnato Mr. Burroughs alla Gare de Lion a riprendere il treno.
Fu una settimana bellissima, in giro per musei con un dio nordico, a spillare soldi ai passanti suonando in metropolitana, a rubare i dischi di Nina Hagen, a ubriacarci ai Deux Magots. Non l'ho più rivisto, ma ho ancora quella cartolina da Amburgo.

Così l'ho cercato su facebook, e l'ho trovato. Ma non so se scrivergli. Magari è calvo, ingrassato e fa il bancario. Non si dovrebbe sfidare la romantica memoria dei 19 anni.

venerdì 15 gennaio 2010

Una piccola musica

Tutto quello che possiedo è una piccola musica. L'ha detto Céline, mica io. Però posso dire che una petite musique ce l'ho pure io, che non sono Céline.
Ho una musica, anzi tante musiche, che mi accompagnano nella vita, che fanno da colonna sonora al mio film. Ne ho per tutte le occasioni : quando devo pulire casa, quando sto al computer, quando sono triste e voglio essere ancora più triste, quando sono in macchina su una strada di notte e piove e faccio finta di essere a Los Angeles dentro un libro di Ellroy con le luci bagnate che si specchiano nell'asfalto.
La mia petite musique è gelosa di me: quando sto un po' senza ascoltarla mi fa sentire vuota e senza ritmo, oppure fuori tempo o magari stonata. La mia petite musique è snob: si infastidisce se ascolto robaccia, mentre quando mi metto d'impegno a trovare qualcosa di nuovo e di inusuale annuisce languida, accenna un movimento del piede (usa il mio), un tamburellare delle dita (le mie, sempre. Lei mi usa).
La mia petite musique mi controlla e mi comanda : non posso uscire dalla macchina o da casa se sto ascoltando una canzone che mi piace, perchè spezzare un'armonia, un testo, un riff è peccato mortale, non me lo perdonerebbe. Così me ne sto vestita e incappucciata sulla porta, o raggomitolata in macchina, finché non smette, e solo allora sono libera di uscire. La mia petite musique mi ossessiona: un giorno che ero dall'altra parte del mondo e avevo in mente un titolo ma non chi lo cantava(1) ho mandato messaggi a tutti i miei amici chiedendolo, e per fortuna che mi hanno risposto subito ché altrimenti non ci avrei dormito.
Io credo che la mia vita sarebbe stata diversa senza la mia petite musique. Non so se migliore o peggiore; certamente più atona.

(1) Mexican Radio, Wall of Voodoo.

martedì 12 gennaio 2010

bagatelle per un massacro

Ti ricordi il primo merdoso capodanno che non abbiamo passato insieme. Da due mesi te ne eri andato e io avevo perso tutto il senso. Gli amici - i nostri, quelli che tu hai lasciato quando hai lasciato me - erano tutti a casa mia a cercare di rendermi l'inferno meno orribile. Allora, tra il finto gorgoglìo degli auguri pietosi, mi sono chiusa in bagno e ti ho scritto. Questo è il primo capodanno che passiamo separati, auguri. Mi manchi tanto. E il tuo sms di risposta : auguri, sappi che ti vorrò sempre bene ma adesso amo un'altra e la mia donna è lei.
Lo sai quante cose si sono rotte dopo quel messaggio ? quanti apparati vitali, stomaco, ovaie, fegato, sfintere, muri, libri, margherite, reni, calze, sopracciglia, lo sai quante cose hai spaccato ? Lo sai che ho capito immediatamente che quel messaggio non l'avevi scritto tu ? no, tu non eri così banale. Tu eri fuoco, arte, oro e baluginare, quando scrivevi. Ti ricordi che ti ho chiamato per chiederti se l'avevi scritto tu e tu, con aria tra il colpevole e il lusingato, mi hai detto che lei ti aveva preso il cellulare dalle mani per rispondere ? Perchè, perchè non ti ho gridato contro, non ti ho mandato affanculo, non sono venuta a spararti, a tagliarti le gomme, a versarti dell'acido in faccia ? Perchè non sono mai riuscita ad arrabbiarmi veramente, a vomitare la rabbia ? perchè quel vomito mi è rimasto dentro ed è marcito, ricoprendo con il suo odore disgustoso tutto quello che già era a pezzi ?

lunedì 11 gennaio 2010

word with the shaman

Vivo con una mia amica, che adoro e con la quale vado d'accordissimo su tutto tranne che sui grandi perché della vita. Per farla breve io sono una senzadio, materialista nonché dialettica, cinica e miscredente, lei è idolatra, panpsichista e animista. Lei ha bizzarre e stravaganti credenze sul destino, l'energia dell'universo, gli sciamani e le aure, io non credo a niente.
Tuttavia oggi i è capitata una cosa che profuma - meglio, odora - di fato e cicli cosmici. Anche un po' di aglio, ma questa è solo un'opinione. Sabato scorso io e l'invasata, dopo tanto pensare, ci siamo comprate un computer nuovo a testa. Solo che lei di soldi non ne aveva, mentre io (grazie alla tredicesima) avevo appena il giusto per comprare il mio e imprestarle dei soldi per il suo, dopodiché mi sarei trovata per il resto del mese e magari anche dei successivi a mangiare i biscotti del discount a pranzo e a cena. Ma siccome i biscotti del discount piacciono a tutte e due, eccoci qua il sabato pomeriggio a casa, ciascuna adesa al proprio rifulgente Imac.
Stamattina torno al lavoro dopo le vacanze e un po' di chiusura forzata et voilà ! Che ti trovo ? trovo il mio capo che mi consegna una una tantum per l'esatto ammontare dei due computer, (vabbè, con 12 euro di differenza ma volevo dare un tocco di realismo magico alla vicenda). In questa vicenda lei ci vede un fato inspiegabile. Io vado dal tabaccaio a giocare il 12 sulla ruota di Cupertino.

venerdì 8 gennaio 2010

Pecunia non olet

Stamattina incontro questo mio amico che era un po' che non vedevo, ci prendiamo un caffè e mi racconta che è abbastanza disperato perchè la banca gli ha bloccato il conto, in quanto da 4 mesi non risulta nessun accredito di compensi vari. Triste, certo, ma la cosa peggiore è che lui non se ne era mica accorto. No, lui si fidava della gente per cui ha lavorato ed era convinto che gli avessero versato quanto dovuto nei tempi dovuti, quindi ha continuato a prelevare senza aver niente sul conto. E poi perchè gli fa schifo andare a controllare quanti soldi ha, l'estratto conto eccetera. Orbene, questo è solo un esempio, ma io sono fatta allo stesso modo. Non sono mai andata a ritirare una restituzione di un importo - basso, per carità - che avevo pagato in più di tasse. Eran 23 euro, non mi avrebbero cambiato la vita, ma erano miei, li avevo guadagnati. Per due anni non ho fatto il 730 perchè mi faceva schifo (e tristezza, anzi più tristezza che schifo) dovere scrivere "separata" nello stato civile. E lo stato mi doveva dei soldi, anche in questo caso non molti, ma non è che io sia Paperone. Io non so, mi pare che molti di noi abbiano questo rapporto malato col denaro, come se fosse cacca, intoccabile e puzzolente. Ma insomma anche se è cacca ce la guadagnamo, alcuni con parecchia fatica, e va bene fare i fighi e dire che il denaro non conta, ma alla fin fine dipendiamo da quello, nella buona e nella cattiva, visto che ci è capitato di vivere qui e non su una colonna nel deserto. E niente, questo post è un modo come un altro per darmi una bella sgridata.

giovedì 7 gennaio 2010

she's in parties




E insomma sono in questo strano posto, all’aperto, in mezzo a un sacco di gente. E’ notte, ma luci abbaglianti perforano il buio roteando come le luci di una discoteca. Però non c’è musica, anche se in lontananza mi pare di sentire un suono ipnotico, ossessivo, ripetitivo. Una specie di musica trance.
Forse è un posto dove si balla, però la gente non si sta muovendo. Anzi sembrano tutti cristallizzati intorno a me. Mi sento i loro sguardi fissi addosso.
Perché. Sono. Bellissima.
Intanto sono molto elegante. Il mio corpo è avvolto da una stoffa aderente, che lascia scoperte braccia, spalle e schiena. Infatti sento un po’ di freddo, ma non me ne curo, lusingata e anche un po’ spaventata da questi sguardi che sembrano perforarmi. Me li sento penetrare sottocute come aghi, quasi mi feriscono, quasi fanno male.
Ho unghie di mani e piedi laccate di un rosso violento, aggressivo Ho i capelli sciolti e spettinati. E la mia pelle splende come se avessi piccoli brillanti incollati addosso, su mani, gambe, braccia. Le luci stroboscopiche si riflettono su questi brillantini creando un’atmosfera irreale, di cui io sono la protagonista.
La Diva.
La Star.
Tutti rapiti da me, dalla mia pelle superficie autoriflettente, da questo rosso lacca che sembra espandersi dalle unghie al resto del corpo.
Ho voglia di ballare, di muovermi sinuosamente in mezzo ai miei ammiratori. Ma non ci riesco, i miei arti non rispondono ai comandi che il cervello impone. Devo essere ubriaca. O magari mi sono fatta di qualcosa. Perché non sono proprio lucida, anche se percepisco emozioni forti provenire da me e rimbalzare sulla folla che mi circonda.
Queste gente mi ama. Questa gente è affascinata da me.
Piccoli cristalli di brillanti si staccano dalla mia pelle creando intorno a me un pulviscolo leggero e abbagliante. Sono talmente bella che colgo sguardi di paura. La bellezza incute timore.
E fa paura anche a me.
Il suono ipnotico e lancinante riprende più intenso e più vicino, dev’essere il dj che, fermatosi un momento ad ammirarmi, continua il suo arrancare notturno verso l'alba. Infatti qualcuno si allontana, probabilmente per lanciarsi sulla pista. Lo spazio intorno a me si moltiplica, e vedo avvicinarsi qualcuno. Altri uomini che mi vogliono guardare, che si vogliono innamorare di me, che vogliono avermi tutta per loro.
Qualcuno mi solleva delicatamente, sollevando altro pulviscolo argenteo. Guarda con disapprovazione il mio smalto rosso che sembra ormai colare dalle dita. Cerca di togliermelo. Peccato, io lo trovo molto sexy, invece.
Ora però devo andare. E’ tardi.

- Fate veloce con sto cazzo di ambulanza. Ha sbattuto la testa contro il vetro della macchina, sta perdendo litri di sangue. Questa mi sa che non ci arriva viva in ospedale.

martedì 5 gennaio 2010

Spoon River reloaded

Dove se n'è andato il professore di filosofia
che aveva dialogo con tutti tranne che con i fascisti
Dov'è Wanda che disegnava bene
Dove sono Claudio o Robi
il primo suonava bene la chitarra
e l'altro che fu il mio primo fidanzatino.
E cosa ne sarà di Ernesto
che si faceva a casa mia
prima di andare a insegnare musica

Hanno un account, hanno un account su Facebook
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Dove sono Roberto e Rossella
primi amici vicini di casa
lei cestista, lui correva
E Alessandra con cui studiavo
per le programmate di storia e filosofia
e Fabrizia, la più signorina
E Monica che scappò da casa
con gli orecchini e l'apparecchio per i denti
per non sentire le stronzate di sua madre.

Hanno un account, hanno un account su Facebook
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Dove sono gli iscritti alla FCGI
che mi sembravano così eroici
con la tessera e un Marcuse sotto braccio
dove quelli di terza liceo
quando io, matricola
li ascoltavo parlare alle assemblee
e mi sembravano tanto affascinanti
e invece erano solo dei ragazzini
che conoscevano più parole di me

Hanno un account, hanno un account su Facebook
Hanno un account, hanno un account su Facebook

Dov'è Monica la sciatrice
bionda, tondetta, una frana a scuola
con un amico che era stato in India.
Silvio, il tossico che scriveva poesie
e me le dedicava, ma poi si rifaceva
e mi sa che quelle poesie le ho buttate.
Lui sì sembra di sentirlo
lasciato in camera da solo a Parigi
perché si era usato tutti i soldi per una dose
sembra di sentirlo ancora
dire a me, neanche vent'anni e già innamorata di un altro
"Mi riporti alla Stazione? Me ne vado"

Hanno un account, hanno un account su Facebook
Hanno un account, hanno un account su Facebook

venerdì 1 gennaio 2010

formspring.me

Ask me anything http://formspring.me/nastja

C'è una luce che non si spegne mai.


[Questa è una cosa vecchia, ma la pubblico perchè qualcuno mi ha chiesto di scrivere di musica cupa cinica e malata, o anche sugli Wham. Solo che non parla proprio di musica. Uhm]

Mi fa tenerezza.
E' giovane, intelligente, scrive bene e ascolta buona musica.
E mi dice Chissà che figata doveva essere avere vent'anni negli anni '80, con un tono tra il trasognato e l'invidioso.
Chissà come vi siete divertiti, voi che eravate adolescenti e ventenni allora.
Ma no. O meglio, sì, certo, ma perche avevamo vent'anni, non perchè eravamo negli anni '80.
Gli anni '80 erano bui.
Erano l'estremo rigurgito del '77. Quando la gente che conoscevi e che veniva a scuola con te veniva arrestata. O crepava di overdose.
Quando se tagliavi da scuola correvi il rischio di essere arrestato.
Poi sono arrivati gli anni '80, luccicosi e sintetici. Con i capelli incollati, il popper e un sacco di musica strana. E cupa. E triste.
E noi, i fortunati ragazzini degli anni '80, eravamo degli sfigati. La nostra musica non la ascoltava nessuno, dovevamo andarcela a cercare in posti sotterranei, niente luce, mentre MTV mandava cazzate pop coi lustrini.
Siouxsie interrompeva il concerto per i lacrimogeni mentre in discoteca trionfavano i Gazebo e alla tele c'era sempre Cecchetto.
La piu grande aspirazione delle teen agers anni '80 era fare la fine descritta da There is a light that never goes out degli Smiths, ed eravamo tutte innamorate di Ian Curtis. Bello, dannato e suicida. Che figata.
C'era Andrea Pazienza che ci raccontava le sturiellet prima di andare a letto. C'era Zanardi che assomigliava dannatamente al nostro compagno di scuola perso per strada.
C'erano le pubblicità di whisky invecchiatissimi, di auto lussuose, c'erano modelle strafighe, mentre noi manco avevamo la macchina, bevevamo birra e avevamo questi trucchi pallidi o lividi, capelli neri, vestiti ancora piu neri.
Strafighe proprio no.
Erano anni strani, in cui rifiutavi quel mondo esterno di lustrini ma allo stesso tempo soffrivi perche ti sentivi escluso. Spesso eri solo, ma se trovavi qualcuno come te gridavi al miracolo e non lo mollavi piu.
I miei migliori amici li conosco da 25 anni, e li ho conosciuti allora.
Facevamo cose strane. Ci guardavano tutti un po' stupiti. A noi piaceva. A noi faceva schifo.
Ci amavamo molto, eravamo sempre insieme. In genere, tutti a casa mia, che sono stata la prima ad avere una casa per conto mio. La gente arrivava, mangiava, dormiva e se ne andava. Ho ospitato sconosciuti, amici di amici, amanti che non sapevano dove andare a godere uno dell'altro.
Adesso siamo grandi e tutto questo è finito. E anche se basta un'occhiata per riconoscerci tra di noi, invecchiati e un po' stanchi, ci guardiamo e pensiamo.
Che culo esserne usciti.