venerdì 16 dicembre 2011

Meringhe e madeleine

Ieri, dopo tanto, tantissimo tempo, mi è capitato di passare a piedi nel tratto di corso Dante che va da via Nizza a Corso massimo d’Azeglio. Ero leggermente in anticipo e non faceva troppo freddo, così ho fatto un po’ la flaneuse in una zona che un tempo, tantissimo tempo fa, frequentavo tutti i giorni, all’andata e al ritorno da scuola. Ero una ragazzina, facevo il ginnasio e l’autobus mi lasciava a dieci minuti di cammino dal Liceo Alfieri e io, con il mio zainetto, il pesantissimo Castiglioni Mariotti o il Rocci a seconda delle materie che avevo quel mattino, avanzavo faticosamente alle otto del mattino per arrivare a scuola.


La pasticceria all’angolo di via Madama Cristina c’è ancora, anche se rinnovata e più moderna. All’uscita di scuola ci fermavamo a comprare qualcosa da mangiare, e un mio compagno nonché primo fidanzatino si comprava sempre una meringa e se la mangiava nel tragitto, sporcandosi inevitabilmente di panna o di spuma d’uovo. Ricordo che l’andata, verso scuola, era densa di agitazione, paure, problemi di interpretazione sulla versione di greco o di latino, calcoli sulle programmate. Il ritorno invece era più rilassato, colmo di aspettative sul pomeriggio o di buone intenzioni sullo studio per il giorno dopo.

Una volta arrivata davanti alla porta della scuola ho rallentato il passo: le luci erano tutte accese – erano circa le sei di sera – e mi sono fermata a guardare il grande ingresso spoglio in cui al mattino ci si trovava tutti prima che si aprissero le porte: allora le grandi vetrate che danno sul corso erano tutte appannate dal fiato di ragazzini assonnati, per terra giacevano cartelle, borse, libri consumati dallo studio e dalle sottolineature con evidenziatori di ogni colore, e dal chiacchiericcio di fondo si distinguevano sempre le stesse parole : interrogazione, assenza, ripetizioni, compito in classe, fogli protocollo.

Poi ho alzato la testa verso il quarto piano, sull’aula d’angolo in cui ho passato tante ore della quarta ginnasio, e mi è venuto in mente il primo giorno di scuola in cui, eccitato e spaventato, un gruppo di ragazzini è entrato per la prima volta un po’ spaurito e ha trovato sulla lavagna una scritta lasciata dai ragazzi più grandi: quousque tandem, Caterina, abutere patientia nostra? La nostra insegnante di tutte le materie letterarie si chiamava Caterina e già qualche giorno più tardi avevamo perfettamente compreso il senso di quella scritta.

E’ stata una breve passeggiata, quella di ieri, ma intensa : dolce come una meringa, malinconica come una madeleine.



sabato 3 dicembre 2011

Regolamento di condominio


Ancora non ci credo.
Guardo la copertina, sillabo le parole, lenta, incerta, balbettante.
Eppure c'è proprio il mio nome, lì sopra. Sono io quella scritta bianca su fondo nero, e dietro la copertina ci sono parole pensate, buttate giù in fretta poi riprese, arrotondate, rielaborate da me.
Curate, cancellate e riscritte.
Odiate.
Amate.
Soprattutto vissute, una per una, dalla virgola alla metafora.
Sono io l'autrice di questo piccolo libro che mi è costato un'estate in città e così tante paure. E incoraggiamenti dagli amici, e curiosità, e dubbi sulla scrittura e sulla mia capacità di scrivere, e discussioni infinite sullo stile, sulla forma. E sul contenuto, che in gran parte mi riguarda da vicino. Da molto vicino.
C'è tanto di me, qua dentro. Chi mi conosce lo capisce meglio di chi non sa chi io sia, ma credo che si senta comunque.
E' mio.
L'ha pubblicato Blonk e si può acquistare qui o qui.

Mi piacerebbe che lo leggessero tutti.
Ho paura che lo leggano tutti.
Sono contenta, sono agitata, sono un fascio di nervi.
Oggi ho anche un po' pianto, perché non c'è gioia che non trasfiguri, anche solo per un attimo, in malinconia.

Passerò questo sabato sera a guardare la copertina e a chiedermi ancora, per l'ennesima volta, se sia tutto vero.