mercoledì 28 ottobre 2009

Come ho conosciuto Chinaski

L’illusione di Dio, di Richard Dawkins (sottotitolo : le ragioni per non credere), nel III capitolo affonta gli argomenti a favore dell’esistenza di dio - prioristiche, aprioristiche, ontologiche, paperette, pernacchiette, ricchi premi e cotillons - smontandoli uno ad uno. Trattazione brillante, certo, ma niente a che vedere con la confutazione delle prove dell’esistenza di dio di Tommaso d’Acquino che fa Chinaski, la quale ha segnato il mio primo incontro con lui (cioè con il suo blog, mica lo conosco Chinaski, e se anche dovessero presentarmelo mi metterei a blaterare idiozie arrossendo e storpiando pure il mio nome, e non perchè lui è Chinaski, mi succede anche con il verduriere, sono timida) e che me ne ha fatto innamorare (sempre del suo blog, vedi parentesi sopra).

Ne riporto qui un pezzetto, ma consiglio a chi se lo fosse perso la lettura completa.

1. ex motu

“Tutto ciò che si muove è mosso da un altro. Non si può procedere all’infinito e dunque bisogna arrivare a un primo motore che chiamiamo Dio.”

Ma avremmo potuto chiamarlo Alberto.
I dubbi sul perché non si possa procedere all’infinito, poi, vengono dissipati dal seguente esempio:

Tommaso: tu sei un uomo buono, Guglielmo. Dico bene?
Guglielmo: ti ringrazio.
Tommaso: ma tuo cugino Abelardo lo è più di te, giusto?
Guglielmo: sì, è vero.
Tommaso: e qualcun altro lo sarà più di lui.
Guglielmo: è probabile.
Tommaso: ma non possiamo procedere all’infinito.
Guglielmo: ah, no?
Tommaso: no, guarda, devo andare a prendere la bambina a scuola, tra poco.
Gugliemo: ah, scusa. Allora non possiamo.
Tommaso: magari la prossima volta.
Gugliemo: ma sì.
Tommaso: allora questo lo chiamiamo Dio.
Guglielmo: magistrale.

venerdì 23 ottobre 2009

Arti superiori

Sono qui.
al buio.
Le braccia spalancate, congelate in una specie di abbraccio che non stringe nessuno.
Cominciava a piacermi, cominciavo a imparare di nuovo. Ero goffa, maldestra, forse anche un po’ ridicola, e le braccia mi facevano anche male, dopo un po’.
Questione di allenamento. Sono poco allenata.
Ma ci provavo, oh se ci provavo.
La memoria degli abbracci se ne era andata completamente. Questi erano nuovi, erano come i primi che avessi mai dato e ricevuto. Non ricordavo più.
Ci si dimentica del calore, quando si è in inverno.
E l’inverno, qui da me, è lungo. Maledettamente lungo.
Cominciavo a credere che quelle braccia fossero per me. Proprio per me.
All’inizio non ci credevo.
Mi ritraevo. Perchè temevo che fosse uno sbaglio.
Poi, lentamente, anche io ho allargato le braccia. Muscoli indolenziti, nervi tesi, un peso quasi insostenibile.
Però ce la facevo.
Ed era bello. Caldo. Sentimentale. Una parola che avevo imparato a detestare.

Dovevo stare più attenta. Le bestie ferite non si devono fidare delle mani alzate. Possono essere una carezza ma anche un pugno, una bastonata.
Questione di tempi.
Dovevo immaginarlo.
Così’ adesso non riesco più a muoverle. Sono rimaste lì, inerti ma spalancate, e non le comando più.
Ci vorrà tempo per riuscire a scioglierle da quell’abbraccio che nascondeva un pugno.
Ma il tempo non mi manca.

lunedì 19 ottobre 2009

Dressed to think

Oggi, verso le due, mentre stavo per uscire dal lavoro, mi chiama la mia amica G.
Io e G. siamo state assunte insieme in quel postaccio, un milione di anni fa: avevamo entrambe 23 anni ed eravamo le pesti dell’ufficio. Andavamo a farci le canne nel bagno delle donne, facevamo le gare di velocità nel cortile, d’estate sguazzavamo nell’acqua degli irrigatori del giardino e tutti ci guardavano come se fossimo due aliene. Uscivamo sempre insieme la sera, facevamo tardi e il mattino dopo ci si reincontrava al caffè con occhiali neri le orecchie che fischiavano (si ballava musica pesante, allora).
Poi la vita e il lavoro, come si usa dire, ci hanno separate, ma abbiamo continuato, seppur sporadicamente, a vederci.
Comunque oggi G. mi chiama e mi dice “ti accompagno verso l’uscita perchè ho bisogno di parlarti”.
La mia prima reazione è stata di pensare velocemente a una scusa per non vederla oggi e rimandare a domani, ma siccome non mi è venuto in mente niente di adeguato le ho detto che andava bene, ho preso la mia roba e mi sono apprestata ad incontrarla.
Ora vi chiederete (lo so che nessuno si chiede niente, è solo un artificio retorico, suvvìa) come mai non volessi incontrarla, visto che è una mia cara amica ed era da tempo che non ci si vedeva.
Presto detto.
Avevo un vestito carino e le scarpe coi tacchi.
Beh, direte voi, miei piccoli lettori (ah questa non è mia, è di Collodi), ma che problema c’è scusa ?
Il problema è che io quando ho un vestito e i tacchi, cioè quando sono vestita da donna-femmina, mi sento una cretina.
Non lo so il perchè, lo so che il pregiudizio sulle donne belle e oche o brutte e intelligenti è, appunto, un pregiudizio, lo so che si può essere intelligenti con i tacchi e cretine con gli anfibi.
Ma io mi sento una cretina.
E mentre G. mi parlava, ed io ero attenta e certamente anche in grande empatia con lei (che era in jeans, scarpe basse e una maglietta, tra parentesi), in una zona d’ombra del mio cervello c’era una vocina che diceva “ma come fai a capire quello che dice ? guardati, sei vestita da oca mentre lei, lei sì che è vestita nel modo giusto per ragionare”
Cioè, per dire : dopo Vestito per Uccidere, adesso io ho inventato Vestito per Pensare.

venerdì 16 ottobre 2009

gabinetti


Solo il gabinetto giapponese è interamente concepito per lo spirito. Discosti dall’edificio principale, i gabinetti stanno accucciati sotto minuscoli cespi selvosi, da cui viene odore di verde di foglie, e di borraccina. E’ bello, là, accovacciarsi nel lucore che filtra dallo shoji, e fantasticare, e guardare il giardino. Tra i sommi piaceri dell’esistenza Natsume Soseki annoverava le evacuazioni mattutine: piacere fisiologico, che solo nel gabinetto alla giapponese, fra lisce pareti di legno dalle sottili venature, mirando l’azzurro del cielo e il verde della vegetazione, si può assaporare sino in fondo.

Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra

giovedì 15 ottobre 2009

avrei voluto dirlo io


E non mi si parli, dopo tutto questo, del lavoro, voglio dire del valore morale del lavoro. Sono costretto ad accettare l’idea del lavoro come necessità materiale, a questo riguardo sono quanto mai favorevole alla sua migliore e più giusta ripartizione. Che le sinistre condizioni della vita me lo impongano, passi, ma che mi si chieda di onorare il mio, o quello degli altri, mai. Preferisco, ancora una volta, camminare nella notte, piuttosto che credersi uno che cammina in pieno giorno. A nulla serve essere vivi, nel tempo in cui si lavora. L’evento dal quale ciascuno ha il diritto di attendersi la rivelazione del senso della propria vita, questo evento che forse non ho mai trovato ma sulla traccia del quale io cerco me stesso, non è a prezzo del lavoro

Andrè Breton, Nadja, 1928

martedì 13 ottobre 2009

un funerale



La pazza se ne andava in giro per il villaggio mostrando la sua feroce dentatura. Se ti avvicinavi troppo ti sibilava qualcosa e sputava, per farti paura. Ma poi tornava indietro, ti spiava e ti sorrideva. Un sorriso spaventoso, bellissimo.

Il funerale era al quarto giorno, i dodici bufali erano stati sgozzati il giorno prima, quello era il giorno della condivisione. Brandelli di carne insanguinata giacevano ai lati di ogni capanna, le mosche ronzavano aggressive, l’odore dolciastro e ferroso del sangue impregnava l’aria. Il riso si mescolava con del liquore a buon mercato e veniva offerto dai parenti del defunto a tutti quelli che assistevano al rito.

Il riso l’ho accettato, il brandello di bufalo non ce l’ho fatta. L’ho regalato alla pazza, che adesso non sibilava più e mi voleva davvero tanto bene.

Come diventare Sylvia Plath in due mosse

Mossa 1
Utente: E quindi sono passata al piano B
Strizza : Che sarebbe?
Utente: Dormire. O in alternativa, fissare il soffitto.
Strizza : Il piano A qual è ?
Utente: Il piano A è l'Innominabile.
Strizza : E il piano C ?
Utente: Non esiste nessun fottuto piano C
Strizza : ......
Utente: .......
Strizza : Credo che a questo punto sia necessario rivedere la terapia farmacologica.
Utente: Facciamo così.
Mossa 2
Utente: E quindi Lei si è allarmata e mi ha mandato qui.
Psych : Beh, direi che le confermo che è necessario rivedere un po' le cose. Non credo che il Tiratemifuoridaquestamerda da 10 mg sia più sufficiente. Aggiungerei il Cazzoc'èunpo'divitachescorrequidentro? da 75 mg a rilascio prolungato, ma facciamo a scalare, non da prendere subito solo quello. Perchè non le consiglierei un washout di due settimane a meno che non si prenda in considerazione un ricovero.
Utente: Come, un ricovero ?
Psych: Beh guardi che solo 20 anni fa non ci avrebbero pensato due volte con una come lei.
Utente: (alzandosi in piedi) Dottore ma è meraviglioso !! Ma allora sono come Sylvia Plath senza i nazisti e le pedate in faccia ! Come Virginia Woolf senza Bloomsbury! Lei mi rimette in pace con la mia totale mancanza di significato !
Psych: ....
Utente: (sorride beatamente, gli occhi lucidi di commozione)
Psych: e cominci da subito, mi raccomando.

lunedì 12 ottobre 2009

sesso estremo



Che poi a me tutto questo strillare di quanto ti piace scopare, quanti partners in una notte sola ti sei passata, di quanta voglia di cazzo hai, a me sembra veramente patetico. Mi dà l’idea, non so, di essere un penoso tentativo, da parte delle donne, di mostrarsi all’altezza della voracità sessuale maschile, di adeguarsi stancamente a delle fantasie pur non essendo assolutamente in grado. Cerchi gnocca, ragazzo ? eccola qua, bell’e pronta, infoiata il giusto e senza tutte quelle tiritere sul sentimento. Ah, come sono moderna.

Ora non discuto sul fatto che il sesso possa essere bello e divertente anche senza alcuna implicazione sentimentale. E’ un gioco, e come tale lo si può giocare con chiunque. Ma vorrei far notare che a volte - parecchie volte - è una palla mostruosa. Con questo tizio che non ti sembrava fosse così pesante quando l’hai conosciuto e che ti sta appiattendo come uno schiacciasassi. Quell’altro che non la finisce più e santiddio fai qualcosa ma piantala lì. Il tizio che non hai fatto in tempo a capire cosa stava succedendo che per lui è già bell’e che finito. Con l’altro che è tutto un sospiro e un affanno che inizi a chiederti se c’è il Ventolin a portata di mano. L’altro ancora che ti rigira come un calzino per far vedere quanto è fantasioso e pieno di iniziativa ma non riesce a impedirti di pensare che domani devi assolutamente ricordarti di prenotare il dentista. Insomma dai, non è sempre quella gran scopata che val la pena di raccontare il giorno dopo.

Ecco poi, raccontare. Siamo grandi e abbiamo tutti avuto le nostre storie (tranne la Binetti, direi), non è che tutti qui si crepi dalla voglia di sapere delle tempeste ormonali degli altri. A me tutta ‘sta moda di rendere pubbliche le proprie imprese erotiche urlandoci nelle orecchie mi sa, più che di sesso estremo, di sesso estremamente noioso. E quelli che seguono questa moda mi ricordano tanto quando in seconda elementare andavi a cercare “cacca” sul dizionario. E ti sentivi coosì cattivo.

lunedì 5 ottobre 2009




Isola di Giacarta, alle sei del mattino. Le nuvole si alzano scoprendo lentamente la cima del vulcano e lasciandomi ammutolita di fronte a tanta bellezza. Ogni volta che guardo questa foto mi commuovo.

venerdì 2 ottobre 2009

physique du role

E questo muratore che alle 7,30 del mattino, mentre tu stai pensando solo al prossimo caffè con gli occhi cisposi e la morte dentro, ti grida dietro un apprezzamento da quattro soldi, probabilmente senza nemmeno averti guardata, gli basta un ticchettìo di tacchi, un’ombra di profumo, questo muratore, pensavo, anche lui è ingabbiato nel suo ruolo di Muratore Gridante del Mattino, anche lui pensa solo al suo caffè o alla giornata faticosa che lo aspetta, al bambino che comincia la scuola, alla rata del mutuo, ma si sente obbligato a dire qualcosa di banalmente muratoriale perchè da un muratore ci si aspetta questo, mica che parli di Kant. E niente, questo muratore, stamattina, invece di infastidirmi mi ha fatto proprio tenerezza.