sabato 22 ottobre 2011

il mio piccolo figlio di puttana

E' piccolo, è malato, la prima di una lunga serie di piccole malattie che si prendono all'asilo.  Non ha ancora due anni, è nero, nerissimo, gli occhi sono lucidi, la bocca, grande e sporgente, è secca. Respira male, ha tantissima tosse, la fronte calda e le mani gelate. Quando arrivo a casa sua mi accoglie sulla porta con le braccia aperte per farsi prendere in braccio e un sorriso enorme che da grande sarà la sua benedizione e la sua tecnica di seduzione, ma adesso è solo un sorriso da bambino nero malato. Appena lo prendo in braccio si accascia contro di me, perché la gioia di vedermi si contende con l'influenza tutte le sue energie, e adesso l'influenza sta vincendo.
Anche sua madre mi aspettava sulla porta, già vestita e con il portafogli in mano, per lasciarmi in consegna il bambino e correre in farmacia a comprare le medicine che le hanno prescritto in ospedale, dove l'ha portato stanotte perché non sapeva cosa fare. Lei parla pochissimo e male l'italiano, ma stanotte si è presa un taxi, è volata col bambino in ospedale, ha aspettato al pronto soccorso, ha fatto visitare il bambino, non ha chiuso occhio. E' stremata. Corre via biascicando un grazie, corre a cercare una farmacia, e io resto lì. Con questo piccolo, bellissimo figlio di puttana, figlio di chissà chi, che mi si addormenta in braccio. Sua madre parla poco, non conosco bene la sua storia,  quando è arrivata da noi era incinta e non faceva più il lavoro che faceva prima, quello per cui l'hanno mandata qui dall'Africa. Sua madre non ha un passato perché l'ha cancellato, anche se non credo che l'abbia dimenticato.
E questo bambino è quello che la tiene in piedi, che la ricostruisce, che la guarisce anche se è ammalato.
Guarirà, questo bambino, perché l'influenza si cura. Non sono altrettanto sicura che guarirà lei.