mercoledì 29 agosto 2012

Tike Tike




Non so se si scriva così. E’ un termine hindi che significa “ok, tutto bene, tutto a posto, d’accordo”, ed è la parola con cui sempre si chiude una telefonata o  si conclude un accordo. E’ in genere accompagnato da un veloce gesto della mano, una repentina rotazione del polso  destro verso l’esterno, le dita leggermente aperte, un gesto che è contagioso : mi sono accorta che adesso tendo a farlo anche io e mi piace molto di più delle americanissime “virgolette”  fatte con le dita.
E’ umano e istintivo  tendere all’emulazione: di gesti, di modi di dire che non sono nostri ma che acquisiamo lentamente attraverso una sorta di scansione mentale, che ingenerano abitudine e si radicano inevitabilmente nell’immaginario.  La convivenza, anche temporanea, con persone provenienti da tutto il mondo ti espone a un biliardino mentale, e tu viaggi e rimbalzi e urti e precipiti come la pallina rossa mentre intorno a te tutto tintinna, squilla e ti rimanda altrove. Così adotti parole e gesti in altre lingue,  mischi l’italiano con l’inglese e con l’Hindi – perlomeno quelle tre parole che hai imparato  - e trovi analogie (in Hindi nama vuol dire nome, nava in Sanscrito vuol dire nove,  agni significa fuoco,  non è meraviglioso?) e resti di una lingua remota che pure dovevamo avere in comune, quando alcuni di noi lanciavano il cavallo al galoppo nelle pianure e pretendevano che tutto il territorio da lui attraversato diventasse loro regno.
Sono qui con una decina di altre volontarie e l’Inglese è ovviamente la lingua adottata da tutte; ci sono poi altre parole che ti conviene imparare in fretta – Nehi, No, la parola più usata dagli occidentali – Jell’ ja, scritto più o meno come si pronuncia, Vai Via, Stammi Lontano,  anche questa inflazionata – Shukria, grazie,  Thoda Thoda, poco poco,  Sundari, bellissimo. 
Molti qui parlano inglese, ma nei villaggi, negli slums o nelle tende per strada si comunica con gesti, con sorrisi, o con azioni impregnate di significato: se ti piazzano in braccio un bambino, si fidano di te.  Se si portano la mano con le dita strette alla bocca, vogliono mangiare.  Non è poi così difficile.
Poi ci sono i gesti ipnotici e ripetitivi di chi è dedito alla liturgia e al rituale, sacro o profano che sia. La mano destra, pollice e indice uniti a cerchio che stringono un bastoncino d’incenso, che rotea elegante il polso seguendo il ritmo ossessivo  del tamburo nella cerimonia del Ganga Aarti a Varanasi.  La testa di un fedele che tocca terra più volte nel tempio Shivaita alla ricerca di favori e benedizione. Il movimento sensuale  e convulso di una frenetica danza in un film di Bollywood.  Le dita lunghe e nervose dei massaggiatori ayurvedici che ti cospargono di olio essenziale e te lo fanno colare tra i capelli.
L’india è il paese più altamente codificato in cui io sia mai stata.
Ma effettivamente non sono mai stata in Giappone.