martedì 16 agosto 2011

Mai più

Non è un respiro, è un singhiozzo quello che la scuote mentre con gli occhi chiusi e il volto gonfio sta cercando di rimanere attaccata alla sua vita che, incurante e frettolosa, si allontana.
Un singhiozzo da neonato, ogni boccata è ossigeno che brucia in gola e ustiona il palato ma che stupisce per la sua fluida e dolorosa naturalezza.
Un neonato arriva, lei se ne sta andando. E' attaccata a strumenti digitali, incomprensibili numeri blu occhieggiano dai monitor. La mistica spaventevole e rassicurante insieme della tecnologia che monitorizza meccanicamente la vita, che continuamente codifica e decodifica il battito cardiaco, il respiro irregolare, le funzioni vitali. Un'equazione improbabile, come si fa a tradurre il defluire dell'esistenza con funzioni matematiche, con impulsi elettronici, con sensori totalmente insensibili al dramma che si sta vivendo intorno a questo letto.

Suo figlio è diventato suo padre e sua madre. Le passa delicatamente la crema sul viso e sul collo, le inumidisce la fronte con una pezza bagnata, le accarezza la mano esanime, le sussurra all'orecchio vecchi ricordi, nomignoli infantili, rassicurazioni. E' stanco e triste, questa è la sua ultima occasione, lo teme e lo spera. Questione di ore, hanno detto. La guarda con dolcezza e infinita compassione; si sente fortunato perché gli è stato regalato qualche giorno prima che lei scivolasse in questa pietosa incoscienza farmacologica, ed è stato atroce e bellissimo insieme. Quando è arrivato in ospedale, affannato e invaso dalla fretta di vederla lei gli ha fatto una smorfia, gli angoli della bocca ripiegati all'ingiù, hai fumato eh?, e poi ha cercato goffamente un abbraccio.

Mentre mi accompagna fuori dall'ospedale - sospetto che sia geloso di ogni piccolo istante rubato a loro due, da soli - parliamo del mai più, questo maledetto mai più che non riusciamo a capire e ci danniamo l'anima perché è così misterioso e minaccioso e violento e inderogabile, e sotto il cielo serale di un ferragosto deserto ci sentiamo così umani