venerdì 23 marzo 2012

autoinsufficienza

Un minuto sei lì con tre borse della spesa, la borsa, e cerchi di infilare le chiavi nella serratura mentre contemporaneamente reggi cinque chili di roba; il minuto dopo (o quasi, questa del minuto è una licenza poetica) sei totalmente incapace di fare alcunché da sola, un braccio ingessato, le dita gonfie e immobilizzate, e ti tocca farti infilare la maglia, farti tagliare la carne, farti mettere il deodorante sotto le ascelle.
E' un'esperienza umiliante, almeno per chi, come me, non è capace di chiedere: di solito faccio tutto io, da sola, fiera della mia autonomia e indipendenza. E invece ti ritrovi seduta su una sedia mentre qualcuno, inginocchiato davanti a te, ti allaccia le scarpe. Il primo giorno sono scoppiata a piangere: mi sentivo un'idiota, totalmente dipendente, incapace, costretta nel ruolo dell'invalida. I primi giorni sono stati un inferno.
Poi però ho pensato che questo periodo (in fondo breve, un paio di mesi) mi poteva servire per rivedere, e magari correggere, questa attitudine a sfoderare autonomia e indipendenza ad ogni momento; magari potevo approfittare della mia immobilità per imparare a chiedere, a non vergognarmi della mia vulnerabilità e debolezza, perché anche io, nonostante faccia di tutto per nasconderlo, ho bisogno di aiuto.  Non sono la superdonna-che-fa-tutto-da-sola. Nessuno lo è. Quella è l'immagine che voglio offrire di me, ma non corrisponde del tutto a quello che io sono. La mia tendenza a "fare a meno", la mia bandiera "me la cavo da sola" sono veri solo in parte.

Adesso è passato un mese, ieri sera sono riuscita a tagliare la pizza e mi sembra di avere vinto le Olimpiadi. Riesco a muovere un po' le dita (anche se mi fanno malissimo) e insomma, inizio a cavarmela di nuovo. Ma non vorrei proprio dimenticarmi come si fa a dire Mi aiuti? perché queste due paroline ho cominciato ad apprezzarle.