giovedì 22 marzo 2012

incontri ravvicinati con la normalità


Ieri ero in ospedale, aspettavo che mi togliessero il gesso. Sì, forse ero un po' nervosa, spazientita, c'era un mucchio di gente e il braccio mi faceva un po' male. Vicino a me c'era una signora di circa settant'anni, anche lei col braccio rotto, un leggero accento lombardo, e ci stavamo raccontando allegramente le nostre vicendevoli cadute, le difficoltà, entrambe col braccio dritto, fermo, ingessato; avevamo qualcosa in comune, anche se eravamo due sconosciute.
All'improvviso nel corridoio passa una donna col velo; va per la sua strada, nessuna di noi due sa perché anche lei si trova in ospedale, ma certo se sei lì non è che stai andando a una festa. La signora settantenne smette all'improvviso di chiacchierare, guarda la donna che ormai è già lontana e borbotta: "Ma perché non ve ne tornate tutti al vostro paese, dico io". Io le rispondo gentilmente, ma un po' tesa : "E perché? Che cosa ne sa lei di quello che questa donna fa qui? Del motivo per cui si trova in ospedale, o in Italia, o alla portata della sua vista?" E lei : "Non mi interessa perché è qui, io sono razzista, e voglio che se ne vadano via tutti"
Io mi alzo dal mio posto accanto a lei e le dico: "Anche io sono razzista, e non ho nessuna intenzione di stare ad ascoltare i suoi malanni, perché non mi interessano. E anche io vorrei che lei se ne tornasse al suo Paese. Lei mi infastidisce". La signora è ammutolita, sorpresa e forse un po' spaventata dalla mia reazione così repentina, e mi ha guardato a bocca aperta.
Dopodiché mi sono spostata da un'altra parte, su un sedile in pieno sole dove faceva un caldo pazzesco.  Ma tutto avrei sopportato pur di non stare vicino a lei. Perché so che quello della signora è un sentire comune, condiviso, acritico e fastidioso, so che molti lì intorno le avrebbero dato ragione, e io non riuscivo a sopportarlo.
Forse ero un po' nervosa, spazientita, c'era un mucchio di gente e il braccio mi faceva un po' male. Forse.