Ieri ero in ospedale, aspettavo che mi togliessero il gesso. Sì, forse ero un po' nervosa, spazientita, c'era un mucchio di gente e il braccio mi faceva un po' male. Vicino a me c'era una signora di circa settant'anni, anche lei col braccio rotto, un leggero accento lombardo, e ci stavamo raccontando allegramente le nostre vicendevoli cadute, le difficoltà, entrambe col braccio dritto, fermo, ingessato; avevamo qualcosa in comune, anche se eravamo due sconosciute.
All'improvviso nel corridoio passa una donna col velo; va per la sua strada, nessuna di noi due sa perché anche lei si trova in ospedale, ma certo se sei lì non è che stai andando a una festa. La signora settantenne smette all'improvviso di chiacchierare, guarda la donna che ormai è già lontana e borbotta: "Ma perché non ve ne tornate tutti al vostro paese, dico io". Io le rispondo gentilmente, ma un po' tesa : "E perché? Che cosa ne sa lei di quello che questa donna fa qui? Del motivo per cui si trova in ospedale, o in Italia, o alla portata della sua vista?" E lei : "Non mi interessa perché è qui, io sono razzista, e voglio che se ne vadano via tutti"
Io mi alzo dal mio posto accanto a lei e le dico: "Anche io sono razzista, e non ho nessuna intenzione di stare ad ascoltare i suoi malanni, perché non mi interessano. E anche io vorrei che lei se ne tornasse al suo Paese. Lei mi infastidisce". La signora è ammutolita, sorpresa e forse un po' spaventata dalla mia reazione così repentina, e mi ha guardato a bocca aperta.
Dopodiché mi sono spostata da un'altra parte, su un sedile in pieno sole dove faceva un caldo pazzesco. Ma tutto avrei sopportato pur di non stare vicino a lei. Perché so che quello della signora è un sentire comune, condiviso, acritico e fastidioso, so che molti lì intorno le avrebbero dato ragione, e io non riuscivo a sopportarlo.
Forse ero un po' nervosa, spazientita, c'era un mucchio di gente e il braccio mi faceva un po' male. Forse.