giovedì 28 aprile 2011

Repartino

Fabio mi afferra un braccio, interrompendo la mia lettura del racconto, per dirmi che ha bisogno di un prete perché deve dire tutta la verità. Venti minuti fa si era presentato come James Douglas Morrison, ma adesso non se lo ricorda nemmeno più. Son tanti, venti minuti, sono una vita, qui dentro.

Lisa è sdraiata per terra nel corridoio, e dorme. Intorno a lei, seduti per terra, due uomini e due donne; una ripete cantilenando Sveglia, Lisa svegliati, sono cinquanta ore che dormi. Beata te. Svegliati, svegliati.
Cinquanta ore. Non dieci, non un giorno e una notte. No. Cinquanta.

Il racconto che stavo leggendo prima, quando Fabio-Jim Morrison mi ha interotto, è un racconto di Stephen King. L'autore lo ha scelto Antonio, ché prima avevamo provato con Sepùlveda ma lui aveva detto che era palloso, e che o leggevamo Stephen King o lui se ne sarebbe andato.
Andato dove, mi chiedo.
Antonio dice che la prossima volta dobbiamo portare degli autori più fighi, e allora gli chiedo di dirmene qualcuno che gli piace, e lui dice che vorrebbe che gli leggessi John Mayorn Stanton, ma subito dopo lo chiama Josh Antrhop Milling, e se glielo facessi ripetere ancora sarebbe un nome ancora diverso. Oppure gli piacerebbe quel libro di cui non ricorda l'autore ma che si chiama Il giorno dell'intimo, è di un autore italiano, uno bravo come Stephen King.
Poi si mette a cantare in inglese, una canzone che fa you/ don't/ to be / why/ and.
Ne ha di immaginazione, Antonio.

L'infermiere specializzato è uscito dalla saletta comune ma ne avverto la presenza subito dietro la porta. E' un ragazzone robusto, perché con questi, anche se son sedati, non si sa mai.

A parte Fabio, che è chiaramente un tossico che non è mai più tornato dall'ultimo viaggio, non so cos'abbiano gli altri. Alcuni sono giovani, altri non si capisce, potrebbero avere trentanni ma anche sessanta. Hanno denti rovinati, tatuaggi, maglie macchiate, cappelli da baseball, capelli metà neri e metà biondo platino. Hanno parole bofonchiate, sguardi vuoti, calzini bucati. Fumano tutti. Tranquillamente, in corsia.
Sono i degenti del pronto soccorso di psichiatria. Molti di loro verranno dimessi tra qualche giorno, per poi ritornare alla prossima crisi. Altri invece non se ne andranno. Uno mi dice che è arrivato tardi alla lettura perché era a casa di un suo amico che non sta tanto bene, ma l'infermiere mi dice che è qui da più di un mese.

E io, con i miei libri di racconti e il mio badge da volontaria, sento intorno a me il respiro del dolore.

1 commento: