mercoledì 11 maggio 2011

di favole e filastrocche

Da anni non credo più in dio.
Ma qualche volta in chiesa ci vado, perché alla mia età ormai succede che debba andare a qualche funerale. I nostri genitori sono vecchi, iniziamo a invecchiare anche noi, e insomma, la vita, eccetera.
Così, quando ci devo andare ci vado. Mi alzo e mi siedo a comando, incrocio le braccia, scambio il segno della pace perché è un gesto che può fare anche un'atea, e me ne sto a bocca chiusa per un'ora.
Ma dentro. Oh, dentro è tutto un declamare.
So ancora a memoria tutta la liturgia, ricordo di quando ero bambina e a messa ci andavo tutte le domeniche, con mia nonna o, più raramente, con mia madre. E non posso fare a meno di recitarmela, dentro, ma nell'antica versione anni '70, quando c'era "il nostro papa Paolo, il nostro vescovo Michele e tutto l'ordine sacerdotale". E' una filastrocca che per me non ha più senso, l'ha perso molto tempo fa, ma mi è rimasta appiccicata come il vinavil sulle mani e ha fatto quella pellicina sottile che diventa tutt'uno con il palmo e che fa piacere togliere, per poi ricominciare a spalmarla.
Perché io ho una memoria sarcastica. Ricordo la canzoncina della pubblicità del doppio brodo star, ricordo quarantaquattrogatti e ricordo la messa.
E non mi dice niente, è vuota di ogni significato, sterile, noiosa.
Ma non c'è niente da fare, anche se cerco di distrarmi poi ritorno sempre lì, alla chiesa diffusa su tutta la terra, al padrenostrocheseineicieli, al concristopercristo.
Come un'inquietante ninnananna, come un babbo natale che hai ormai smesso di aspettare, come una vecchia filastrocca.
Che però, lì in chiesa, ti viene da canticchiare.

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