domenica 18 settembre 2011

et in Arcadia ego

Stamattina avevo appuntamento con il mio amico Alessandro per un caffè in piazza Vittorio alle 10, ma lui era in ritardo. Molto ritardo. Ritardissimo. Giustificato eh, bambini da guardare, cose di famiglia, ma intanto io me ne sono stata seduta al bar da sola per un'oretta. Il cielo era grigio e impregnato di umidità, era piovuto tutta la notte. Dalla mia postazione sotto i portici intravedevo uno squarcio di vecchi palazzi e ipotizzavo il fiume marronastro un po' più in là. Ho tirato fuori il kindle e mi sono messa a leggere un libro che racconta di un viaggio a Varanasi, un viaggio che ho fatto anch'io qualche anno fa. Il libro non è un capolavoro ma racconta benissimo le sensazioni di un occidentale al cospetto di quella magnifica e orribile città: un costante cozzare di sentimenti contrastanti, odori repellenti e profumi estatici, aggressioni al corpo sempre più vulnerabile e deperito e mistici abbracci con un divino che è allo stesso tempo ridicolo e vertiginoso. Varanasi è pura distopia: la desideri ardentemente e la odi, ti fa schifo e ne sei attratto, e dentro c'è tutto l'umano e il sovrumano che ti accoglie amorevolmente e ti ingloba nelle sue viscere come un pitone, ti fa morire di una morte lenta ed escrementizia e ti fa vibrare di un amore orgiastico ed ebbro. Io ero lì, sola, al tavolino di un caffè, e però non ero lì, ero sul ghat Manikarnika ad evitare mani sudicie e pozze di liquami, a inebriarmi di colori e denti bianchissimi, a tossire per il fumo esalante dalle pire funebri, a vergognarmi e a non potermi esimere dalla curiosità morbosa di vedere un cadavere bruciare, la pelle staccarsi e contorcersi nelle fiamme, a cercare conforto per le mie narici intossicate con i pochi sprazzi di profumo d'incenso per guarirle dalla puzza di morte. Ero a pochi metri dal Po e però vedevo il Gange brulicante di insidie scorrermi davanti con tutto il suo millenario carico di preziosissimi tessuti funebri, carcasse galleggianti, sacchetti di plastica. La nebbiolina umida di Torino si trasformava nel soffocante vapore infernale dell'afa che alle 10 del mattino, a Varanasi, ti toglie già il fiato. Poi è arrivato il mio amico Alessandro, in ritardo, in ritardissimo, Mi sono sentita come se fossi tornata appena un minuto prima dall'altra parte del mondo, e il cappuccino aveva il sapore del primo cappuccino che prendi nel primo aeroporto italiano in cui arrivi, dopo un mese di astinenza e audaci tentativi malriusciti di trovarne uno che sia anche solo passabile. E la nostalgia era quella del ritorno da un viaggio che che vorresti raccontare ma che non ti esce perché è ancora tutto aggrovigliato tra stomaco, intestino, occhi, naso, e mani, e sei contento di essere tornato ma sai che non è finita qui, che sei ancora preda e vittima volonterosa del flautato e intollerabile richiamo dell'India.