sabato 9 luglio 2011

come un vecchio rimorso o un vizio assurdo

Ieri per la prima volta ho pensato alla mia morte.
No, non è vero, ci avevo già pensato altre volte, ma era quando stavo così male che pensarci era un conforto, un desiderio, una tensione verso il momento in cui tutta la mia disperazione sarebbe finita, una volontà.
Invece ieri ci ho pensato per la prima volta come qualcosa che succederà indipendentemente da me: un giorno, semplicemente, la vita continuerà per un sacco di persone che conosco, ma non per me.

Parlavo con una ragazza molto giovane che stava dicendo che aveva letto sul giornale che nel 2050 chi andrà in pensione percepirà meno di mille euro.
2050, mi son detta. Non tra qualche anno, non quando avrò settantanni, no. Nel 2050. E' molto probabile che io nel 2050 sarò morta. In quel momento l'ho quasi toccata, annusata, questa sensazione. Era diversa da quando ti capita di pensare che fra tanti anni ti sposerai, o avrai dei figli, o ti laureerai o andrai in pensione, quelle cose che ti sembrano lontane, irraggiungibili perché manca ancora tanto tempo, anche se poi in quel tempo lì ti ci imbatti molto velocemente.
Era diversa, sì. Era quasi una certezza.
Così mi è colata addosso un'onda di tristezza che poi mi scappava via da tutte le parti, e mi è venuto un po' da piangere.
Ma solo un po'.